In un suo articolo del dicembre 2018, dal titolo ‹
Quella linea impercettibile sospesa tra il nulla e l’infinito›, Edoardo B. Drummond scrive:
Il punto, cioè, trarrebbe dalla linea il suo senso e il suo significato. E ci torna in mente che le prime tracce di pensiero simbolico, all’alba del genere umano, sono linee incrociate, incise sulla superficie di una pietra (nelle già menzionate grotte di Blombos, Sudafrica, ben 77 mila anni fa). Su un altro reperto, un osso di babbuino rinvenuto nelle montagne dello Swaziland e datato 37 mila anni fa, furono praticate 29 tacche, col verosimile intento di contare qualcosa. Sull’«osso degli Ishongo» (‹Ishango Bone›), utilizzato come manico di un utensile, risalente a più di 20 mila anni fa e rinvenuto al confine dell’attuale Congo, le tacche, più di 160, sono disposte su 3 file e raggruppate in ogni fila a formare numeri legati da misteriose relazioni. Qualche studioso ha persino ipotizzato che potesse trattarsi di un rudimentale calendario, ma quello che ci pare straordinario è che le tacche sono disposte lungo una linea che non viene tracciata – un po’ come accadrebbe oggi scrivendo a mano su un foglio bianco – e quindi non può essere vista, ma dev’essere immaginata.
La 2ª di queste figure si trova identica in un breve saggio di John D. Barrow intitolato ‹
Perché il mondo è matematico?› (Laterza 1992), i cui contenuti sono stati sviluppati a partire da 3 lezioni tenute dall’autore all’Università di Milano nel dicembre 1991, lezioni che avevano come tema natura e significato della matematica. Nel testo di Barrow, la didascalia della figura in questione (a p. 24) riporta:
Fig. 2. Vista dei due lati del manico di uno strumento in osso fossile rinvenuto da Jean de Heinzelin a Ishongo, nei pressi del Lago Edoardo in Africa. In origine all’estremità destra si attaccava uno strumento di quarzo abbastanza grande per incisioni. Le tacche si succedono a gruppi di tre per volta, il che è piuttosto interessante, e risalgono a ca. il 9000 avanti Cristo.
Barrow descrive la “pratica dell’intaglio” nel passo che segue (pp. 23-24):
[…] La testimonianza più remota di questo sistema di numerazione si ritrova su un osso del perone di babbuino rinvenuto nelle montagne dello Swaziland e risalente al 35.000 avanti Cristo. Presenta 29 tacche e probabilmente si tratta di un’arma su cui il cacciatore segnava gli animali uccisi. In Cecoslovacchia, a Vestonice, è stato ritrovato un osso di lupo, lungo circa 18 centimetri e risalente all’incirca al 30.000 avanti Cristo; esso mostra una linea composta da 25 tacche, poi due segni più grandi, seguiti da altre 30 tacche, e presenta tracce di divisione delle tacche in gruppi di cinque (forse da collegare con il numero delle dita della mano). La cosa interessante è che questo oggetto è stato ritrovato accanto alla scultura in avorio di una testa femminile, che testimonia l’esistenza di una cultura più sviluppata di quella dei cacciatori e dei raccoglitori.
Un’altra famosa testimonianza di questo antico sistema è l’«osso degli Ishongo». Si tratta di un manico originariamente attaccato a uno strumento di quarzo per incisioni, datato intorno al 9000 avanti Cristo, che è stato ritrovato a Ishongo vicino al Lago Edoardo, ai confini dell’attuale Zaire. La civiltà che l’ha fabbricato ha lasciato altre tracce della propria esistenza, che si basava sulla caccia e sulla pesca esercitate sulle rive del lago fino all’improvvisa estinzione causata da un’eruzione vulcanica.
Il manico di osso ha una rozza forma cilindrica ed è fossilizzato, ma presenta tre serie di tacche, come appare dalla figura 2. I segni sono raggruppati in un modo curioso che ha dato luogo a diverse ipotesi fantasiose. Le due file in cima presentano entrambe un totale di 60 segni. La terza ne ha 48 (anche se alcuni sostengono che l’esame microscopico ne rivela degli altri), ma contiene tracce di raddoppiamenti, con gruppi adiacenti di 10 e 5, 8 e 4, 6 e 3 segni. Inoltre la prima fila presenta la sequenza 9, 19, 21, 11, e cioè 10 – 1, 20 – 1, 20 + 1 e 10 + 1. La seconda e la terza fila presentano una lista di numeri primi: 5, 7, 11, 13, 17 e 19. Probabilmente non sapremo mai se si tratti di una fantasia numerologica o se gli Ishongo utilizzassero un sistema a base 10 e conoscessero i numeri primi e il raddoppiamento. La speculazione più interessante riguarda il fatto che i due totali di 60 rappresentano due mesi lunari, perciò le tacche potrebbero segnare il passare del tempo. Probabilmente un metodo accurato per registrare i cambiamenti di stagione era importante per gli Ishongo, dato che le rilevanti variazioni atmosferiche di quella regione li costringevano a migrare verso le montagne all’arrivo delle piogge, allontanandosi dal lago quando le acque salivano.
NOTA: la scultura di testa femminile cui si riferisce Barrow alla fine del primo capoverso citato è probabilmente quella rappresentata in figura – è datata anch’essa circa 30 mila anni a.e.v. – ma per quale motivo dovrebbe testimoniare “l’esistenza di una cultura più sviluppata di quella dei cacciatori e dei raccoglitori” non è del tutto chiaro, considerato che i cacciatori-raccoglitori erano capaci ad esempio di produrre splendide pitture rupestri.
Probabilmente Barrow non si è interessato granché di arte paleolitica, ma del resto non è il suo campo.
Georges Ifrah, invece, nel suo ‹
Storia universale dei numeri› (1981, Mondadori 1984), all’inizio del 4° capitolo, a p. 99, dedica ai ritrovamenti di reperti archeologici che documentano la “pratica dell’intaglio” in tempi preistorici soltanto le poche righe che seguono:
Le ossa intagliate che gli uomini preistorici ci hanno lasciate, vecchie di oltre 20.000 anni, sono probabilmente fra i più antichi oggetti che servissero da supporto alla nozione del numero (riq. 14). I nostri lontani antenati che incisero tali ossa, si servirono certamente del processo, per dar concretezza al conteggio di tale o tal altra unità
[*].
Questo ‹A-B-C della contabilità› ci è giunto quasi senza alterazioni, attraverso migliaia d’anni di storia, di incivilimento e di evoluzione.
Esse sono accompagnate da questa figura (riquadro 14) e dalla didascalia che segue (a p. 98):
Riquadro 14. Ossa intagliate del Paleolitico superiore. A e C: Aurignaciano [sic!]: (30.000-20.000 a.C.) [sic!]. Musée des Antiquités Nationales di St-Germain-en-Laye (l’osso C proviene da Saint-Marcel, Indre). B e D: Aurignaciano. Ossa provenienti dalla grotta di Külna (Moravia), Cecoslovacchia. E: Magdaleniano (19.000-12.000 a.C.). Osso proveniente dalla grotta di Pekarna (Moravia). Cfr. J. Jelinek [sic!] [92] pp. 435-453.
La nota 92 rimanda a J. Jelínek, ‹
Encyclopédie illustrée de l’homme préhistorique› (trad. francese, pp. 435-453), Gründ, Paris 1975.
La grafia “Aurignaciano”, probabilmente riportata dall’originale in francese, deriva dalla località francese di Aurignac, ma in italiano la dizione di gran lunga più utilizzata è “aurignaziano”; da wikipedia (
https://it.wikipedia.org/wiki/Aurignaziano):
L’aurignaziano indica una cultura paleolitica che si diffuse in Europa, e in piccola parte anche nel sud-ovest asiatico, tra 47.000 e 35.000 anni fa. Il nome deriva da quello del sito di riferimento situato a Aurignac, nel dipartimento dell’Alta Garonna, nel sud-ovest della Francia.
Possiamo constatare che i tempi non coincidono con quelli indicati da Ifrah, e la differenza non è di poco rilievo, soprattutto se consideriamo che intorno ai 40.000 anni fa si estinse il Neandertal; ci potremmo dunque chiedere se anche questo nostro lontano predecessore praticasse l’arte dell’intaglio. Il ‹
Sapiens›, per quanto ne sappiamo, potrebbe benissimo aver appreso a “far di conto” da quel suo cugino un po’ tarchiato, che aveva abitato prima di lui i territori europei e che da solo aveva inventato e praticato – è scoperta recente – l’arte della pittura rupestre.
La nota a piè di pagina del testo di Ifrah aggiunge comunque le seguenti informazioni:
[*]. Le più antiche ossa intagliate sono state scoperte nell’Europa occidentale. Datano dall’Aurignaciano e corrispondono, pressappoco, all’apparizione dell’uomo di Cro-Magnon. Gli intagli, antichi di 20.000-30.000 anni, sono probabilmente segni numerici, ma la destinazione è tuttora difficile da stabilire. Taluni scienziati pensano che i tratti o gruppi di tratti corrispondessero a rilevamenti astronomici, servendo in particolare a stabilire le fasi della luna (luna nuova, primo quarto, piena, ultimo quarto): una teoria la cui conferma richiederebbe studi approfonditi ed esempi più numerosi. Per altri, gli stessi intagli corrisponderebbero a numerazioni effettuate per le necessità di una vita comunitaria e costituirebbero la specifica testimonianza di una contabilità della selvaggina abbattuta in periodo di caccia.
Perché mai l’uomo di Cro-Magnon, unico fra tutte le specie che a quel tempo praticavano la caccia, avesse la necessità di tenere “una contabilità della selvaggina abbattuta” non ci è del tutto chiaro.
In tutto il suo corposo manuale, del resto, Ifrah non prende mai in considerazione l’esistenza, nella preistoria, di più specie umane, esistenza che, ai tempi in cui venne pubblicata la prima edizione del volume, era già ben accertata. Che sia un retaggio della sua “formazione culturale”?
L’articolo di E.B. Drummond è consultabile
qui.
Il sommario del volume di J. Barrow è consultabile
qui.
Il sommario del volume di G. Ifrah è consultabile
qui.
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