martedì 29 ottobre 2019

Fagioli, la mente dell’animale e il pensiero umano

Le lezioni che Massimo Fagioli tenne a Chieti nel 2003 sono raccolte nel volume ‹Das Unbewusste - L’inconoscibile› (L’Asino d’oro 2019). Durante la 1ª lezione, tenuta il 7 marzo, in un passo riportato nel volume alle pp. 36-37, il docente, affrontando il problema della relazione tra “mente” e “pensiero”, afferma:
Proprio poche ore fa c’è stato un altro dibattito [10]. Qui non si finisce mai. Qualcuno di voi ha chiesto: «Ma che cos’è la mente?». E lì appunto – visto? – di fronte a quello stimolo una dolce fanciulla è stata invasata da Apollo e ha risposto una cosetta abbastanza carina. C’è da pensare una cosa interessante, cioè che in genere per il pensiero umano si fa una similitudine, un sinonimo: parlare di mente è come parlare di pensiero. Dice: “No, mica vero, mica vero. Qui bisogna vedere che il discorso della mente si può estendere anche agli animali”. Eh, infatti gli animali hanno… verrebbe da dire delle idee; quando vanno a caccia: “Mo’ mi frego ’sto cerbiatto…”. E poi fanno tutti studi, si nascondono, no? vanno piano, si mettono controvento… Quello non è automatismo del corpo, lì una mentaccia c’è. E poi dice: “Ma mi spieghi perché le piante che tieni in casa dove non c’è molta luce non crescono, invece quelle che tieni al sole, fuori, un sacco di fiori, foglie, si sviluppano?”. Perché c’è il processo clorofilliano! Ma cos’è il processo clorofilliano? Voi lo sapete che l’ultima scoperta di vent’anni, venticinque anni fa è che l’acqua non c’entra niente. Prima si diceva che le piante crescono perché succhiano l’acqua: non è vero niente. No, l’acqua è solo un fattore, quello che è importante è il processo clorofilliano, cioè la foglia. “Perché la foglia produce la clorofilla”. Certo, ma perché produce la clorofilla? Perché è stimolata dalla luce. “Come, è stimolata dalla luce? Ma la luce non è mica materia! Che stimolo è?”. Già, il fotone non ha massa, però reagisce alla massa. «E se si potesse estendere…», geniale la fanciulla! «la parola “mente” anche a questo fenomeno?». Come reazione allo stimolo, che il mondo vegetale ha a modo suo, il mondo animale ha a modo suo, la specie umana ha a modo suo, ma comunque è sempre una reazione allo stimolo. E questo vale per la mente.
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[10]. La nota fa riferimento alle lezioni di Psicologia generale tenute da Andrea Masini alla Facoltà di lettere e filosofia della stessa Università di Chieti.


Qui, in effetti, abbiamo 2 fenomeni a livello differente: la dinamica stimolo-reazione è tipica di tutte le realtà biologiche – quindi anche delle piante – però nel mondo vegetale, dove forse non è del tutto appropriato parlare di “comportamento”, ci è difficile immaginare che le piante abbiano “idee”; del resto, anche laddove si possa parlare di “comportamento”, è chiaro che ne esistono diversi gradi di complessità, lungo una scala che parte dagli organismi unicellulari per giungere fino a quelli dotati di un sistema nervoso sofisticato come quello dei primati.

Il nesso tra la sintesi clorofilliana e le raffinate tecniche di caccia di grandi felini – dietro i quali si nasconde l’essere umano, non dimentichiamo che fino a 12 mila anni fa eravamo tutti cacciatori-raccoglitori – sta appunto nel fotone, che proprio Fagioli ha individuato nella sua teoria della nascita (‹Istinto di morte e conoscenza›, 1972) come lo stimolo che alla nascita dà avvio alla reazione pulsionale e al pensiero dell’essere umano; il suo argomentare sembrerebbe quindi all’inizio più che altro una provocazione, ma ad ogni modo il suo discorso prosegue:
Allora il problema è — appunto, ha provocato molto i filosofi, perché lì stavamo a filosofia, non a psicologia — che nell’uomo va aggiunta un’altra parola che è “pensiero”. Cioè, la reazione della specie umana non si limita alla formazione di una mente, alla reazione come quella vegetale e quella animale, ma ha un qualcosa in più, il pensiero, che poi si dice va a finire nel pensiero verbale, nel linguaggio verbale. E tutti hanno sempre detto che quello viene fuori a tre anni di vita, per non dire a sette, per non dire a quattordici: la ragione. E invece no, che il pensiero ci sia prima del pensiero e linguaggio verbale articolato, comunicabile? A parte che chiarissimamente comunicano anche le api, comunicano anche gli uccelli, senza avere il linguaggio articolato, ma nella specie umana c’è il linguaggio articolato legato a una cosa proprio specifica che è il pensiero umano. Una possibilità di articolazione della parola con la bocca e di scrivere mediante la mano. Nessun animale scrive. E pare che non scrivano, non abbiano scritto nemmeno i primitivi, perché nelle caverne noi troviamo un sacco di figure, splendide figure di cavalli, di donne stilizzate — sembra arte moderna! —, mai una scrittura. Non si trova mai una scrittura. Quindi sembra che il pensiero verbale non ce l’abbiano avuto. Il primitivo aveva le immagini, che rappresentava, chiaramente — se andate a Porto Badisco, in Spagna eccetera, vedete tutto quello che vi pare di immagini anche molto belle, sulle rocce —, ma mai una scrittura. Come se la scrittura fosse venuta dopo questo primitivismo e questa possibilità, esatto. E allora ecco che lì ci dev’essere qualche cosa per cui nemmeno la mente è comune all’uomo e all’animale, non credo. Voi mi potreste dire, fino al linguaggio articolato, fino all’anno e mezzo di vita, due anni, la mente è uguale anche negli animali, per cui le emozioni sono uguali. No. Perché? Perché gli animali non fanno sculture e non dipingono. E non fanno nemmeno musica. Anche se le gru ballano, però ballano senza la musica. Non c’è nessuna gru che suona la chitarra, niente! Quindi evidentemente anche questa realtà preverbale, averbale, fuori dal linguaggio articolato non è uguale fra gli animali e l’uomo. D’accordo?

D’accordo, tuttavia non si può mettere sullo stesso piano il linguaggio articolato e la scrittura, che a livello biografico individuale – e anche storico – è successiva, come è del resto comprovato dagli indiani d’America e dagli aborigeni australiani, che pur non conoscendo la scrittura comunicavano mediante lingue ben definite – diverse per ogni tribù – e quindi mediante linguaggio articolato.

La scrittura – simultaneamente alle prime notazioni matematiche, e questo non può essere un caso – sembra essere stata elaborata all’epoca in cui si formarono i primi agglomerati urbani, forse per le esigenze di una società complessa, e già articolata in “classi”.

Fagioli, ad ogni modo, prosegue:
E allora bisogna cercare che succede — questo è difficile — quando si realizza una realtà umana. Che pensate? Come i cattolici, che si realizza alla prima cellula, detta “zigote”? Un po’ difficile pensare che lì ci sia una mente. Perché? Perché non c’è reazione. Chiarissimo. Mentre c’è nelle foglie, perché c’è reazione, cioè le foglie non si producono da sole, se non c’è lo stimolo della luce non vengono fuori; invece lo zigote si moltiplica per cavoli suoi, non c’è nessuno stimolo. Interessante, vero? Quindi lì la mente non ci può stare, deve venire quando c’è uno stimolo. Voi sapete come va la gravidanza, no? È ultraprotetta. È ultraprotetta dal liquido amniotico, è ultraprotetta dalla parete dell’utero di 8 o 9 centimetri, è ultraprotetta dalla parete addominale, quindi stimoli praticamente non ci sono, però il feto si sviluppa, come ben sapete, fino a tre chili. Gli stimoli vengono alla nascita. Interessante, no? Lì, sì: caldo, freddo, luce. Luce! Come le foglie. E certamente non si può pensare che non ci sia una reazione. Per i vostri studi, anzi, bisogna pensare che lì ci sia una reazione particolarissima nella specie umana rispetto a quella animale, per cui magari nell’animale viene una certa mente. Difficile, perché quelli non ci raccontano niente. Quindi, se fanno immagini — tutto lascia pensare che le immagini le facciano, perché si dice che l’elefante ha una grandissima memoria e poi riconoscono… quindi forse le immagini, la memoria c’è —, ma io credo che non fanno immagini come quelle della specie umana.
Ne sparo una grossa? Così l’interessata ci farà una tesi. Forse hanno solo la memoria cosciente, per cui riconoscono l’antilope rispetto all’elefante: un’immagine che è memoria cosciente, un’immagine come quando vi ricordate la macchina che avete, quando vi ricordate casa, quando vi ricordate la mamma, il babbo e l’amante. È una memoria cosciente, non hanno la memoria inconscia. La caratteristica della specie umana è di avere un inconscio, che non è idee innate, non è il Male, no, non è la perversione originaria, non è la cattiveria originaria, come diceva Platone e poi… la Bibbia: tutti siamo discendenti da Caino il cattivo, perché il povero Abele che era buono è stato ammazzato: favolette, non c’entrano, chiaro. Ha una memoria inconscia perché evidentemente, quando inizia questo stimolo, la reazione sarà in un certo modo per cui indubbiamente è diversa da quella animale. E allora fa immagini che sono diverse, quelle immagini che poi si trovano, quando farete gli psicoterapeuti, nei sogni, che non sono la riproduzione dell’oggetto percepito, come si ha nella memoria cosciente. Se voi pensate alla vostra macchina, ve la ricordate com’è, se invece sognate, vi ricordate una Jaguar, cioè è un linguaggio. Inizia un pensiero umano che poi diventerà linguaggio articolato. Il linguaggio articolato non viene dallo spirito santo, dalla Pentecoste, viene perché alla nascita c’è un’immagine interna diversa da quella degli animali, perché gli animali possono avere immagini, ma non diventano mai linguaggio articolato e pensiero. Ecco che torna: negli animali c’è la mente, ma non il pensiero. La specie umana ha una mente che però poi diventa pensiero, o deve diventare pensiero. Può essere abbastanza interessante. Perché? Ma perché forse una matrice, un elemento, un fattore della malattia mentale è che i malati non riescono a raggiungere il livello di fare il pensiero. Come se le immagini fossero al livello non umano, ovviamente non perché sono animali, ma per malattia, magari hanno soltanto la memoria cosciente e non riescono a fare quelle immagini oniriche che poi, doverosamente, uno psicoterapeuta deve saper interpretare.

Probabilmente parlando di “animali”, Fagioli intende i mammiferi; è difficile credere che le specie animali – dai molluschi agli aracnidi agli insetti ai rettili agli uccelli ecc. – abbiano tutte la stessa percezione e concezione del mondo; dispongono di sistemi nervosi assai diversi (le meduse ad esempio non ne hanno affatto, eppure sono formidabili cacciatrici), e sono diverse le modalità con cui vengono al mondo. La differenza per così dire grammaticale tra “mente” e “pensiero” può essere fuorviante giacché “mente” è un sostantivo che dà l’idea di una realtà stabile e forse persino statica (un po’ come “anima” e “spirito”), mentre “pensiero”, pur essendo anch’esso un sostantivo, sottintende un soggetto pensante e un pensato, indica dunque un’attività, non esiste “pensiero” se non c’è un qualcosa di pensato (e corrispondentemente qualcuno che lo pensa), è dunque l’equivalente di un verbo, “pensare”. Il nesso tra pensiero (magari “inconscio”) e “pensiero verbale” indubbiamente esiste, ma non è automatico né immediato, dato che (al genere ‹Homo›, o almeno alla specie detta ‹Homo sapiens›) ci sono volute centinaia di migliaia di anni per svilupparlo, e al bambino moderno occorre qualche anno per arrivarci. Inoltre il regno del “pensiero inconscio” è la notte, il sonno, mentre il pensiero verbale si ha solo di giorno, cioè in stato di veglia.

NOTA 1: “mente” è una di quelle parole che non esistono in tutte le lingue, ad esempio il francese ricorre a ‹esprit› (spirito)… e il tedesco? La situazione è complessa e contorta, esiste ‹der Gedanke› (pensiero, dal verbo ‹denken›, pensare), ma “mente” è ‹der Geist› (spirito), oppure ‹die Gedanken› (plurale di ‹Gedanke›, e dunque “pensieri”); per cui non sembrano esistere 2 aree semantiche ben differenziate.

NOTA 2: abbastanza illogicamente, il francese ha invece conservato il suffisso -‹ment› per formare avverbi da aggettivi, ad es. ‹hautement› da ‹haut› (XI sec.), ‹largement› da ‹large› (XII sec.), ecc. Si trovano, d’altronde, l’aggettivo ‹mental›, il sostantivo astratto – da questo derivato – ‹mentalité›, e persino l’avverbio ‹mentalement›!


Curiosità linguistiche a parte, sembra ovvio che tanto gli “animali” (in senso fagioliano) quanto i malati di mente, la notte, dormano; e dormendo qualche forma di pensiero – si chiami, con Fagioli, “mente”, oppure immagini – debbano pur averla, altrimenti sarebbero morti (stiamo seguendo le argomentazioni dello stesso Fagioli); la differenza – non solo tra animale e umano, ma anche tra malato e sano – dev’essere allora nella “qualità” di queste immagini; ci si pone allora il problema di comprendere se la parola chiave sia “deformazione” (dall’utilitaria alla Jaguar, in un attacco onirico di megalomania), “trasformazione” (il cavallo come simbolo di vigore fisico, o di vitalità), oppure “creatività” (un’immagine inventata per rappresentare qualcosa d’altro, magari di non percepibile).

Una ulteriore considerazione potrebbe essere il diverso rapporto col tempo: l’animale non può comunicare qualcosa relativo al passato o al futuro – e forse non ne ha neppure l’esigenza – ma soltanto qualcosa che riguarda la situazione presente; oltre a non fare sculture e a non suonare la chitarra, non può neppure invitare a cena né raccontare il sogno fatto la notte prima. Perché l’essere umano ha invece questa insopprimibile necessità e ha inventato, per poterla soddisfare, il linguaggio articolato? Potremmo ipotizzare che soltanto l’essere umano ha questa esigenza di rendere l’altro uguale a sé o di rendersi uguale all’altro, e questo è legato al concetto di “investimento” ovvero, in definitiva, alla “pulsione”, che sarebbe dunque all’origine della specifica socialità umana.

Il sommario del volume di Massimo Fagioli è consultabile qui.

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giovedì 17 ottobre 2019

Fagioli, il morso alla mela e la conoscenza nel peccato originale

Nel volume di Massimo Fagioli, ‹La marionetta e il burattino› (1974, ed. L’Asino d’oro 2011), alla fine del § 6.4 (a p. 252), paragrafo intitolato “Il contenente diventa contenuto”, possiamo leggere:
Rapporto, separazione e trasformazione sono i tre termini essenziali alla realizzazione umana di essere come uomo pensante. Le due dimensioni fondamentali della realtà umana, lo sviluppo e la creatività si basano sul rapporto. Nella dinamica di rapporto lo scambio che fa di ciò che è esterno una realtà interna, comprende il rapporto-separazione-trasformazione.
La mistificazione dello sviluppo e della creatività umana come dinamica di trasformazione come introiezione, separazione, e ‹quindi› rapporto che, in questo modo è di identificazione proiettiva, è la regressione verso il non essere imposta dall’istinto di morte. Il comando della “ragione” che dice: «Mangia il tuo simile, accumula il capitale» per essere, è il comando-inganno del diavolo, del serpente. Mordi la mela e avrai la conoscenza. Introietta il “seno buono”, identificati con tuo padre, e sarai. I termini dell’essere vanno invece posti in questo ordine: rapporto, separazione e trasformazione.
I termini così posti, comprendono la trasformazione del desiderio in investimento sessuale ‹dopo› la sua soddisfazione, e la trasformazione della realtà esterna con la quale si è avuto rapporto mediante la realizzazione dell’Io, in realtà interna di memoria-fantasia.

Il discorso di Fagioli sulle dinamiche del rapporto tra esseri umani ci pare molto interessante, e meriterebbe un approfondimento, ma nel cpv. centrale c’è anche un richiamo evidente al mito del peccato originale contenuto nella Genesi; a sua volta, questo mito conterrebbe un’allusione, più o meno nascosta, ma comunque spesso trascurata, al cannibalismo (il morso) o quantomeno al suo equivalente psichico, l’introiezione; ricordiamo però che un precedente di tale aspetto del mito si ha già nel poema di Gilgameš (anche scritto come Gilgamesh), con la pianta dell’immortalità che il re di Uruk, nell’accomiatarsi da Uta-Napištim – il Noè mesopotamico – recupera in fondo al mare per farne dono ai suoi sudditi, ma che mentre egli dorme gli viene divorata proprio dal serpente, il quale acquista così una forma di eterna giovinezza, ottenuta mediante la muta della pelle.

Vi sono poi in altre culture numerosi esempi di episodi mitici in cui proprietà più o meno magiche, o immunità da sortilegi possono essere acquisite mangiando qualcosa, in genere un frutto o un fiore, ad esempio Ulisse-Odisseo nell’‹Odissea›; potrebbero avere anche questi miti in comune origine e significato?

Che pensare infine della celebre mela “avvelenata” di Biancaneve?

NOTA: in realtà, nella Genesi non è specificato di che frutto si trattasse; per qualche misterioso motivo è divenuta una mela nell’iconografia cristiana; e in ogni caso, le mele comparivano già nella mitologia greca: “il pomo della discordia” che fu remota causa della guerra di Troia (vedi wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Pomo_della_discordia).

Il sommario del volume di Massimo Fagioli è consultabile qui.

Sulla possibile origine di Yahweh come dio-serpente, suggerita da Graves e Patai (1963), e sull’eventuale nesso con l’episodio menzionato del poema di Gilgameš, si veda un nostro post precedente, qui.

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