Oltre che tra gli indiani del Nord America, lingue gestuali erano ampiamente diffuse anche tra gli aborigeni australiani.
Riproduciamo qui di seguito un paio di paragrafi dalla relazione di Marco Svolacchia ‹Le lingue dei segni› (http://host.uniroma3.it/docenti/svolacchia/3.Lingue_dei_segni.pdf).
Differenze tra lingue dei segni vs. parlate
1. Numero di parlanti
Le comunità linguistiche delle lingue dei segni sono molto più piccole di quelle delle lingue parlate e coesistono quasi sempre con le comunità delle lingue parlate.
2. Storia
Essendo lingue solo orali [sic!], non si sa quasi nulla della storia delle lingue dei segni. Sono ritenute lingue giovani in quanto ci sono scarsissimi indizi di qualcuna che sia più vecchia di due/trecento anni. Nuove lingue dei segni, in condizioni adatte, possono nascere senza nessuna influenza sostanziale da parte di lingue parlate o altre lingue dei segni.
3. Diffusione
A differenza delle lingue parlate, le lingue dei segni possono diffondersi non solo per ragioni politiche o culturali, ma anche linguistiche, vale a dire per scelte di politica linguistica dettate dai vantaggi che offre una lingua dei segni ad alto grado di elaborazione. Un esempio è dato da quei paesi africani che hanno adottato l’ASL come lingua dei segni di istituto in sostituzione delle lingue dei segni autoctone o anche della stessa ‹lingua dei segni britannica›, già adottata in precedenza come lingua di istituto, nonostante siano ex-domini britannici.
4. Trasmissione
Le lingue dei segni non sono normalmente trasmesse in famiglia, eccetto che per una piccola percentuale di bambini sordi nati da genitori sordi. Circa 1/1.000 neonati è affetto da sordità. Meno del 10% di questi (le stime vanno dal 2% al 10%), i.e. meno di un bambino su 10.000, nasce in una famiglia di sordi, in cui la lingua dei segni è utilizzata regolarmente e a cui può venire esposto precocemente.
5. Simultaneità
Rispetto alle lingue parlate, le lingue dei segni sono caratterizzate da una maggiore ‹simultaneità articolatoria›. Qualcuno ritiene che ciò sia dovuto alla differente modalità: In generale, il sistema visivo sarebbe più efficiente nel processare informazioni simultanee, mentre il sistema uditivo a processare informazioni sequenziali.
Un fatto evidente è che l’apparato fonatorio consente un grado limitato di simultaneità: solo le corde vocali, quando producono le differenze di tono, sono utilizzate costantemente in parallelo al resto degli articolatori con indipendenza semantica. Gli altri articolatori raramente veicolano contenuti in modo autonomo. Viceversa, nelle lingue dei segni i diversi articolatori hanno un alto grado autonomia: le mani, in parte indipendenti; il viso; la labializzazione; la postura.
6. Iconicità
Utilizzando il canale visivo, le lingue dei segni hanno un grado di iconicità molto superiore a quello delle lingue parlate.
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Lingue dei segni ‘accessorie’/’secondarie’
Esistono lingue dei segni utilizzate da udenti come lingua alternativa a quella parlata per circostanze particolari, che variano da gruppo a gruppo.
- ‹Lingue degli indiani nordamericani› (p.e., ‹Lingua dei segni delle Grandi Praterie›, tuttora parlata [sic!] da qualche amerindiano). Venivano usate principalmente quando non era conveniente parlare (durante le battute di caccia o scorrerie contro tribù nemiche) o quando si comunicava con altri gruppi con cui non era possibile comprendersi con le lingue parlate (p.e., durante le trattative di pace). Vennero utilizzate anche dai coloni europei per comunicare con gli amerindiani. Si trattava di pidgin, per quanto espansi, con capacità espressiva limitata a poche situazioni codificate. Più che di una lingua uniforme, si trattava di un continuum dialettale, tale che permetteva una comunicazione elementare tra gruppi etnici limitrofi. Tuttavia, come sostiene Davis (2010), quando era appresa e utilizzata dai sordi, diventava una lingua naturale in piena regola. Si pensa che originarono proprio nelle famiglie in cui erano presenti bambini sordi.
- ‹Lingua dei segni degli aborigeni australiani›. Sono distribuite in tutto il Continente. Un esempio ben studiato è la ‹Warlpiri Sign Language›, una lingua vera e propria utilizzata per lo più dalle donne in lutto, periodo che può durare mesi o anni. Tra le anziane, che spesso formano comunità a parte, si usa anche al di fuori del periodo di lutto. Questa lingua è però compresa da tutti e viene utilizzata anche dagli uomini e dalle altre donne per occasioni speciali, quando è più conveniente (o è così ritenuto dai membri della comunità) segnare che parlare.
- ‹Lingue dei segni monacali› (p.e., Benedettini: Abbazia di Cluny, Borgogna, 900-1200). Si tratta di pidgin, senza grammatica e di espressività limitata: il lessico consiste di poche centinaia di parole appartenenti all’ambito liturgico-religioso. I segni venivano utilizzati dagli ordini religiosi che avevano nella loro regola il voto del silenzio, o della sobrietà di parola, per non incorrere nel tabù evangelico (‘Sia il vostro parlare: sì, sì, no, no, poiché il più viene dal maligno’; Matteo 5:37).
- ‹Lingue dei segni per comunicare con parenti sordi›. In una comunità in cui per ragioni storiche esiste una forte incidenza di membri sordi, la lingua dei segni viene appresa anche dai membri udenti per comunicare con i membri sordi. Pertanto, la lingua si mantiene e si sviluppa in modo naturale per molte generazioni. Tipicamente, tutti i membri di questa comunità sviluppano un buon grado di bilinguismo e trovano del tutto naturale alternare la lingua parlata alla lingua dei segni. Un caso ben conosciuto è quello di Martha’s Vineyard, un’isola al largo delle coste del Massachusetts, o delle lingue dei segni del mondo arabo […]. È altamente probabile che tutte le lingue dei segni accessorie, a parte quelle monastiche, abbiano questa origine.
Distribution of sign languages in Australia (Kendon 1988) |
Fonti bibliografiche
- Davis, J.E. (2010), ‹Hand Talk. Sign Language among American Indian Nations›, Cambridge: Cambridge University.
- Kendon, A. (1988), ‹Sign Languages of Aboriginal Australia: Cultural, Semiotic, and Communicative Perspective›. Cambridge University Press.
NOTA 1: la cartina dell’Australia (inclusa nel pdf di Svolacchia) è tratta da Kendon (vedi bibliografia). Le tavole dei segni indiani sono invece tratte dal sito farwest.it (https://www.farwest.it/?p=22860).
NOTA 2: che le lingue gestuali tendano a non lasciare tracce durature del loro utilizzo naturalmente non implica che esse non possano essere anche più antiche delle lingue parlate.
NOTA 3: ci si potrebbe anche chiedere come mai una simile lingua dei segni non si sia sviluppata – o non sia stata adeguatamente osservata e studiata – in Africa, cioè proprio nel continente che è stato la “culla” del Sapiens.
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