Fra VI e V secolo, le correnti religiose e i messaggi sapienziali di salvezza si rivolgono al gruppo ristretto degli adepti, dei discepoli, con forme diverse di iniziazione. Non è raro che i sapienti di questa epoca identifichino il proprio allocutore con un «tu»; e Parmenide si presenta come destinatario di una rivelazione, che è anche iniziazione, personalmente rivoltagli da una dea. Ai sapienti, agli adepti, agli iniziati, si oppone qui la gran massa dei profani, dei «dormienti» di Eraclito, «anime barbare», dei «mortali dalla doppia testa» di Parmenide: tutti costoro sono, e devono restare, esclusi dalla sfera di luce della rivelazione sapienziale, anche se in certi casi dovranno sottostare alle sue leggi, come avrebbero voluto i Pitagorici nelle città in cui detenevano il potere.
«[…] Parmenide si presenta come destinatario di una rivelazione, che è anche iniziazione, personalmente rivoltagli da una dea»: ma questa è un’anteprima straordinaria! Secolo più, secolo meno, seppure a notevole distanza da lì, stava avvenendo un’altra rivelazione, altrettanto personale, da parte di un dio, che sarebbe stato chiamato Yahweh, a un leggendario capopopolo, o forse un sacerdote, di nome Mosè. La dea di Parmenide era invece ‹Dike› (Δίκη), la dea della giustizia; ma, in fondo, cosa cambia?
NOTA: Yahweh era noto per la sua “aniconicità”; la dea della giustizia aveva invece volto e figura?
Per l’indice del saggio di Mario Vegetti, e per altre annotazioni in proposito, si veda qui.