giovedì 28 marzo 2019

Sul carattere eudaimonistico piuttosto che deontologico dell’etica “antica”

Da Mario Vegetti, ‹L’etica degli antichi›, Laterza (§ 1.4, pp. 10-11):
È noto che l’etica antica si differenzia da quella moderna soprattutto per il suo carattere eudaimonistico anziché deontologico. In altri termini, alla domanda: «perché il bene è da preferire?, perché dovrei agire moralmente?», l’etica degli antichi risponde «perché così, e solo così, sarai felice (‹eudaimon›)», mentre quella dei moderni risponde con Kant: «perché è tuo dovere». Naturalmente, la promessa di felicità come scopo della condotta morale viene via via assumendo nella riflessione antica caratteri diversi e più complessi. Si va dalla gioia ingenua degli eroi omerici per la vittoria e la gloria conquistate sul campo di battaglia come premio per la loro virtù, alla felicità dell’anima ricompensata nell’oltretomba con la salvezza e il ritorno ad una condizione di divina beatitudine. Oppure, la felicità può consistere nel piacere epicureo, che pone fine ai bisogni del corpo e con ciò realizza la serenità dell’anima; nell’esercizio aristotelico della pura teoria che contempla la verità e l’ordine del mondo; nell’incrollabile autonomia e libertà del saggio stoico, al riparo da ogni seduzione o minaccia del mondo esterno. Quali che siano la forma assunta dall’‹eudaimonia›, la sua sede ultima e privilegiata (i piaceri del corpo o dell’anima, l’autorealizzazione sociale oppure intellettuale), essa costituirà sempre per l’etica antica il fine, la motivazione, la promessa dell’azione morale. È difficile d’altronde pensare ad un «dovere», scisso dalla felicità, che giochi lo stesso ruolo di norma e scopo dell’azione morale, a meno che esso sia imposto da una solida sanzione teologica, rimasta sostanzialmente estranea al pensiero antico.
In effetti, per l’aggettivo ‹eudaimon› e per il corrispondente sostantivo ‹eudaimonia›, il “Dizionario Greco Antico” (https://www.grecoantico.com/) fornisce la seguente gamma di significati:
eudaimon› (εὐδαίμων, -ον) = 1. (genitivo -ονος) assistito da un buon demone, quindi felice, beato, fortunato; 2. (riguardo ai beni estrinseci) agiato, ricco, opulento; 3. (di luoghi e campagne) dovizioso, fruttifero […].
eudaimonia› (εὐδαιμονία, εὐδαιμονίας, ἡ) = 1. felicità; 2. prosperità, agiatezza, benessere.
Si può constatare che entrambi i termini non fanno distinzione tra la “felicità” che riguarderebbe una realtà non materiale – mente, spirito o anima che sia – e il “benessere fisico” o addirittura la “prosperità” che può essere relativa a “luoghi e campagne”, realtà quindi implicitamente “abitate”, ma non per questo, di per sé, “animate”; la scissione tra materia e spirito era evidentemente, ai tempi considerati, ancora di là da venire, e questo certo non stupisce. Ma la stessa considerazione – pare logico – dovrebbe potersi applicare anche a quelle culture plurimillenarie, ad esempio quelle mesopotamiche e quella egizia, che in questo saggio Vegetti non considera. Esisteva un concetto analogo alla ‹eudaimonia› greca anche presso questi popoli?

Per l’indice del saggio di Mario Vegetti, e per altre annotazioni in proposito, si veda qui.

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