lunedì 18 novembre 2019

Hilary Gatti, Giordano Bruno, lo scienziato e il filosofo

Il terzo capitolo del saggio di Hilary Gatti, ‹Giordano Bruno e la scienza del Rinascimento› (1999, ed. Raffaello Cortina 2001), è dedicato ad esaminare le implicazioni cosmologiche di stampo copernicano ne ‹La cena de le ceneri›, il primo dei dialoghi italiani del Nolano, composto e pubblicato nel 1584, durante il suo soggiorno in Inghilterra; alle pp. 60-62 possiamo leggere:
[…] Qui Bruno sta identificando, già agli inizi della rivoluzione scientifica, due diverse discipline come connesse ma distinte: quella perseguita dallo scienziato vero e proprio (che, nella nostra era postkuhniana, definiremmo “scienza normale”) e la filosofia della scienza. Come esponente di quest’ultima, Bruno riconosce che la propria riflessione deve in ultima analisi dipendere dai dati rilevati e analizzati dagli scienziati. Allo stesso tempo, però, rivendica la libertà di interpretare tali scoperte in un ambito molto più vasto di quello in cui opera la scienza “normale”, secondo una modalità che richiede il dono dell’ispirazione e dell’immaginazione, nonché una capacità di illuminazione profetica in grado di interpretare la natura secondo leggi o paradigmi universali. In tal senso, questa pagina bruniana può essere confrontata con il brano conclusivo della ‹Nuova Atlantide› di Bacone, in cui l’autorità più alta all’interno della Casa di Salomone verrà assegnata a coloro ai quali, sebbene in termini meno individualistici di quelli in cui Bruno concepisce il compito del filosofo, spetta la responsabilità di ordinare e interpretare le informazioni fornite dagli scienziati “normali”:
Poi, dopo diversi incontri e consultazioni prese in assemblea plenaria, allo scopo di prendere in considerazione e valutare i precedenti lavori e le raccolte, ve ne sono tre che si prendono cura di guidare nuovi esperimenti, tratti dai precedenti, e dotati di un più alto grado di luce, per penetrare ancora di più entro la natura. Essi sono chiamati “Lampade”.
Ve ne sono altri tre che eseguono gli esperimenti così guidati, e ne riferiscono. Li chiamiamo “inoculatori”.
Infine, ve ne sono tre che innalzano le precedenti scoperte, mediante esperimenti, portandole a convergere verso più grandi osservazioni, assiomi, aforismi. Li chiamiamo “interpreti della natura” [18].

Bruno suggerisce, qui, che le nuove ricerche scientifiche, in particolare quelle concernenti un nuovo modello di universo, abbiano implicazioni talmente profonde che non si può lasciare agli scienziati stessi il compito di trarne tutte le relative conseguenze concettuali, una responsabilità che spetterebbe, piuttosto, al filosofo della scienza. Si tratta, in definitiva, di un’intuizione di carattere estremamente avanzato, che prefigura non solo la filosofia razionalistica su base scientifica di un René Descartes (Cartesio) o di un John Locke, ma anche il pensiero postkantiano del periodo romantico, con il suo orientamento soggettivo e idealistico. Oltre a ciò, si noterà come l’interesse dimostrato da Bruno nei confronti degli aspetti tecnici dell’arte della memoria e della logica di Ramon Lull (Raimondo Lullo) possa essere visto in termini dello studio della logica della ricerca scientifica, un tema di particolare attualità in un’epoca, quale la nostra, che ha visto la diffusione delle teorie di Karl Popper.

[18]. La nota rimanda al 1° volume degli ‹Scritti politici giuridici e storici› di Francis Bacon (1561-1626) nella traduzione italiana.


Sorvoliamo sulla “ispirazione” e soprattutto sulla “illuminazione profetica” della Gatti. La studiosa afferma in sostanza che Bruno avesse già intuito, alla fine del Cinquecento, l’enorme portata delle nuove scoperte, e lo sconvolgimento che esse avrebbero provocato nella concezione del mondo e, di riflesso, nell’organizzazione sociale e politica. Per questo motivo non riteneva – a quanto pare insieme a Bacone – che gli indirizzi, i metodi e i mezzi della ricerca, quelli che Kuhn chiamerebbe “programmi di ricerca”, potessero essere lasciati alla discrezione degli scienziati stessi.

Ai tempi di Bruno, e nei secoli immediatamente successivi, non esisteva ancora la distinzione tra scienza “teorica” e scienza “sperimentale” – in effetti, questa distinzione, che si affermerà soltanto nell’Ottocento, sembra non esistere neppure per la Gatti – per cui si potrebbe anche pensare di interpretare la differenza di ruoli, ritenuta necessaria da Bruno, in termini moderni, non come complementarità di “scienza” e “filosofia della scienza” – come afferma la Gatti – bensì come interazione tra “scienza teorica” e “scienza sperimentale”.

C’è da dire che il prodigioso sviluppo della scienza ha superato di gran lunga le aspettative – ma anche e soprattutto i timori – dei due filosofi citati, rendendo accessibili tecniche dalla potenza micidiale assolutamente impensabili al loro tempo: ne sono esempi eclatanti gli esplosivi ad alto potenziale, l’impiego bellico della chimica e della biologia, la stessa bomba atomica che pose fine alla Seconda guerra mondiale; si pensi anche, in un ambito più pacifico, all’impatto sulla vita quotidiana dei nuovi mezzi di trasporto e di comunicazione, o alle opportunità di controllo sociale offerte dall’informatica.

Dai tempi di Bruno, a dire il vero, non pare che il problema di chi sia in grado di gestire responsabilmente i risultati delle ricerche scientifiche sia stato risolto. Escluderemmo possano essere i “filosofi”, che oggi non dispongono delle competenze tecnico-scientifiche, ma neppure del necessario potere decisionale; e ancor meno potrebbero essere i politici, affetti come sono da una crescente miopia, e spesso, perlomeno in ambito scientifico, da una vera e propria, crassa e sfrontata ignoranza.

La globalizzazione – anche nell’ambito della ricerca scientifica – ha reso del resto inefficace il controllo dei singoli Stati, e il loro ruolo non è stato assunto da organismi internazionali di adeguata autorevolezza. Le opportunità offerte dalle nuove tecnologie verranno prima o poi utilizzate da coloro che hanno meno scrupoli morali, e allora… ‹Homo homini lupus›? Il progresso scientifico richiede indubbiamente la ricerca e la realizzazione di una nuova identità umana, e i giovani di oggi sembrano essere i più sensibili a questa esigenza.

Ma la fine che fece Giordano Bruno, il 17 febbraio del 1600, ci ammonisce che gli ostacoli che si frapporranno a questa realizzazione non saranno facili da superare.

Il sommario del volume di Hilary Gatti è consultabile qui.

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