martedì 10 marzo 2020

Eva Cantarella, Pandora, l’Eva biblica e il peccato originale

Nel suo saggio ‹L’amore è un dio› (Feltrinelli 2007), Eva Cantarella tratta delle varie concezioni dell’amore presso gli antichi greci. All’inizio dell’undicesimo capitolo, intitolato ‹Sprazzi di misoginia›, alle pp. 133-135, così riassume il mito di Pandora, da lei definita “la prima donna, l’Eva greca”:
Di Pandora Esiodo parla sia nella ‹Teogonia› sia ne ‹Le opere e i giorni›. Chi era esattamente Pandora? Come, quando, perché giunse sulla terra? Cominciamo dal perché: per cambiare la vita dell’umanità, rendendola per sempre infelice. Un tempo, infatti, gli uomini vivevano senza guai, senza malattie, senza problemi. Ma un giorno Prometeo rubò il fuoco agli dèi e lo diede agli esseri umani: grazie a lui, la stirpe dei mortali possedeva lo strumento che le avrebbe consentito di intraprendere la strada del progresso, accorciando la distanza che la separava dagli immortali.
Prometeo meritava una punizione, e Zeus gliela inflisse. Nella ‹Teogonia›, legato a una colonna, egli viene tormentato da un avvoltoio che ogni giorno gli mangia il fegato; e poiché ogni notte il fegato ricresce, il suo supplizio non ha mai fine. Nel ‹Prometeo incatenato› di Eschilo (o comunque a questi attribuito), per ordine di Zeus egli viene condotto da Kratos e Bie (“Forza” e “Violenza”) ai confini del mondo, per essere incatenato a una roccia, immobilizzato con catene di ferro che lo serrano ai piedi, alle caviglie, alle ginocchia, ai fianchi, alle braccia; e in questa incomoda posizione viene abbandonato a una sofferenza eterna.
Ma la punizione di Prometeo non era sufficiente, bisognava che non solo lui, personalmente, ma l’intero genere umano, soffrisse. Ed ecco Zeus all’opera con la collaborazione degli altri dèi per costruire un essere dotato di tutte le caratteristiche adatte allo scopo: Pandora (da ‹pan›, “tutto” e ‹doron›, “dono”).
Fatta di terra e acqua, Pandora è costruita da Efesto “simile” a una casta vergine; Afrodite le regala grazia, capacità di sedurre (‹charis›), “desiderio struggente”, “affanni che fiaccano le membra”; Ermes le dona “mente sfrontata”, “indole ambigua”, “menzogne” e “discorsi ingannatori”. Nessuna sorpresa se questo “male così bello” è un “terribile flagello”, “una trappola alla quale non si sfugge”. Quando giunge fra gli uomini, questi imparano a conoscere l’infelicità, che resterà in eterno con loro. Pandora è, in sé, per la sua stessa natura, un male dalle conseguenze funeste: da lei nasce “il genere maledetto”, “le tribù delle donne”.
Ma non è tutto: nelle ‹Opere e i giorni› Esiodo ci racconta anche un’altra storia.
Pandora, egli dice, fu mandata da Zeus nella casa di Epimeteo, il fratello di Prometeo. A differenza di questi, che prevedeva (questo è il significato del suo nome), Epimeteo vedeva dopo, capiva in ritardo: nonostante Prometeo lo avesse avvertito di non accettare doni da Zeus, accoglie Pandora e sedotto dalla sua bellezza la sposa: e qui cominciano i guai.
Nella casa di Epimeteo c’è un vaso dal contenuto misterioso. Dono di Zeus a Pandora, il vaso — ermeticamente chiuso — non deve essere aperto per nessuna ragione. Inutile a dirsi, Pandora, non resistendo alla curiosità, lo scoperchia, facendone uscire quello che vi è contenuto: tutte le calamità del mondo. Atterrita, la donna lo richiude precipitosamente. Ma è troppo tardi, i mali sono già volati via, disperdendosi fra gli uomini, ovunque essi abitino. Sul fondo rimane solo Elpis, la speranza. Dopo l’intervento di Pandora, è tutto quel che resta all’umanità.

La proibizione – “il vaso - ermeticamente chiuso - non deve essere aperto per nessuna ragione” – nel racconto ha implicitamente la sua origine nello stesso Zeus, e richiama alla mente quella che nella Bibbia viene presentata come occasione del peccato originale: il “frutto proibito”. Pandora non si limiterebbe dunque ad essere, come afferma la Cantarella, in quanto prima donna, l’Eva greca, ma lo stesso mito greco sarebbe una versione parallela (e a dire il vero un po’ più stuzzicante) della storia di Adamo ed Eva.

A questo punto, dato che Esiodo visse nel VII sec. a.e.v., potrebbe essere interessante stabilire una cronologia: potrebbe anche darsi che dobbiamo considerare Eva come “la Pandora ebraica”, anziché l’inverso; oppure le due storie – dato che non risultano contatti diretti tra Esiodo e gli ebrei – potrebbero aver avuto una comune origine in una qualche “terza” tradizione mitologica, ancor più antica. Lo stesso epiteto di Eva quale “madre di tutti i viventi” (Genesi 3,20) tradirebbe secondo diversi studiosi la sua discendenza da un’antichissima divinità generatrice, addirittura madre di tutti gli dèi (i “viventi”, cioè i “non mortali”): Belet-ili, “Signora degli dei”, era detta una divinità mesopotamica originaria. Sarebbero poi stati gli estensori del testo biblico, nell’intento di ridimensionare il ruolo femminile – Yahweh, per quanto se ne sappia, è un dio maschio – a rovesciare l’antico mito, non solo facendo di Eva una creatura, ma attribuendole persino l’origine di tutti i mali sulla terra. Però non furono gli unici, come dimostra il mito greco di Pandora.

È inoltre interessante constatare come la distribuzione delle responsabilità sia alquanto differente nelle 2 versioni: in quella greca la “colpa” non sarebbe né degli uomini né delle donne, bensì solo di Prometeo – una sorta di proto-Cristo? – mentre la donna (Pandora) sarebbe solo lo strumento della punizione (premeditata) da parte di Zeus (complici gli altri dèi dell’Olimpo); in quella biblica non è dio (Yahweh) che tende un tranello ad Adamo ed Eva; la proibizione non si sa bene quale motivo abbia, ed è il diavolo (il serpente, che però secondo alcuni sarebbe il “lato oscuro” di dio) a ingannare Eva per prima e, per suo tramite, anche Adamo; poi però è dio a punire Adamo ed Eva (ma la seconda più del primo) cacciando entrambi dal paradiso terrestre. In questo caso la disobbedienza è “causa” della punizione, mentre nel caso greco essa era un semplice “strumento” dell’astuzia divina, il “mezzo” per realizzare una sanzione che era già stata decisa.

Potremmo anche spingerci oltre, e considerare che il contenitore sigillato da non aprire assolutamente è un elemento in comune con la 4ª prova di Psiche, nella celebre favola di Apuleio; anche in quel caso alla giovane viene raccomandato di consegnare la scatola della bellezza senza aprirla… e sappiamo come va a finire, ma è solo Psiche a subirne le conseguenze, ed è Amore (Eros, il dio alato) che deve accorrere a salvarla dal sonno mortale con il bacio rivitalizzante rappresentato in forme tanto splendide dal Canova.




Con l’occasione, ci si potrebbe anche chiedere come mai in un volume che tratta dell’amore al tempo degli antichi greci non si trovi neppure un accenno alla favola di Amore e Psiche. È vero che Apuleio, che ce l’ha tramandata, era uno scrittore “latino” (del II sec. e.v. e di origini berbere), tuttavia il nome della protagonista, Psiche, tradisce senza possibilità di equivoco la provenienza greca del mito.

Che poi la favola possa avere origini ancor più remote, non ci pare affatto sia da escludere…


Il sommario del volume di Eva Cantarella è consultabile qui.

_____
¯¯¯¯¯

Nessun commento:

Posta un commento