giovedì 5 marzo 2020

Heidegger, l’uomo, la lingua e il linguaggio

Il primo capitolo del saggio di Martin Heidegger, ‹In cammino verso il Linguaggio› (1959, trad. it. Mursia 1973-1990) è intitolato semplicemente ‹Il linguaggio›; il testo è tratto – secondo quanto afferma l’autore nella ‹Nota al testo› posta al termine del volume stesso – da una conferenza tenuta il 7 dicembre 1950 a Bühlerhöhe e ripetuta il 14 febbraio 1951, a Stoccarda, nella sede della «Württembergische Bibliothekgesellschaft». Nel capoverso introduttivo (a p. 27 del volume), che appare staccato dal testo principale e potrebbe esservi stato aggiunto per la pubblicazione, possiamo leggere alcune affermazioni – divenute ormai celebri – sul linguaggio:
L’uomo parla. Noi parliamo nella veglia e nel sonno. Parliamo sempre, anche quando non proferiamo parola, ma ascoltiamo o leggiamo soltanto, perfino quando neppure ascoltiamo o leggiamo, ma ci dedichiamo a un lavoro o ci perdiamo nell’ozio. In un modo o nell’altro parliamo ininterrottamente. Parliamo, perché il parlare ci è connaturato. Il parlare non nasce da un particolare atto di volontà. Si dice che l’uomo è per natura parlante, e vale per acquisito che l’uomo, a differenza della pianta e dell’animale, è l’essere vivente capace di parola. Dicendo questo, non s’intende affermare soltanto che l’uomo possiede, accanto ad altre capacità, anche quella del parlare. S’intende dire che proprio il linguaggio fa dell’uomo quell’essere vivente che egli è in quanto uomo. L’uomo è uomo in quanto parla. È la lezione di Wilhelm von Humboldt. Resta però da riflettere che cosa significhi: l’uomo.

Dobbiamo innanzitutto rilevare che il tedesco sembra non distinguere, usando in entrambi i casi ‹die Sprache›, tra “linguaggio” e “lingua” – quest’ultima con evidente riferimento alla lingua parlata, perché come parte del corpo si dice invece ‹die Zunge›, e d’altra parte ‹die Sprache› è evidentemente legato al verbo ‹sprechen›, parlare; il titolo tedesco del volume è infatti ‹Unterwegs zur Sprache›, in cui ‹Sprache› è tradotto, per i motivi illustrati nella premessa di Alberto Caracciolo, come “Linguaggio” con la elle maiuscola.

«L’uomo parla. Noi parliamo nella veglia e nel sonno. Parliamo sempre, anche quando non proferiamo parola…», però Heidegger dimentica – come fa del resto una buona parte dei filosofi – che l’essere umano non parla appena nato, deve svilupparsi e, crescendo, imparare una lingua; dunque, per un anno o più – dobbiamo dedurne – o non pensa, oppure, se pensa, lo fa senza parole. A meno che per “parlare” H. non intenda qualcosa di diverso da ciò che s’intende di norma, e in effetti “parliamo nella veglia e nel sonno” lascerebbe intendere che anche i sogni siano un “parlare”.

Ma i commentatori ci dicono che l’iniziale di “Linguaggio” è maiuscola perché non si tratterebbe di una creazione dell’essere umano; al contrario, sarebbe l’essere umano ad esistere ‹perché› esiste il linguaggio, e ci torna in mente quel λόγος che, secondo l’evangelista Giovanni, era “presso Dio”: «In principio era il Logos e il Logos era presso Dio e il Logos era Dio…». Il pensiero verbale, linguaggio di origine divina, esisterebbe da prima della creazione del mondo e dell’uomo, e renderebbe quest’ultimo, fra tutte le creature, quella più vicina al suo creatore.

Al testo di Heidegger fa riferimento – ma con ben altra impostazione di pensiero – Massimo Fagioli nel suo articolo ‹In cammino / verso la verità umana›, pubblicato sul settimanale “Left” (n. 10) del 21 marzo 2015:
[…] Sento lo stridore di due penne di ferro freddo che si incrociano come due spade: ‹In cammino verso il linguaggio› e ‹Ritorno al prerazionale›. Vedo di nuovo le nuvole grigio scurissimo e il vento che le spinge contro la mente umana con l’arma che fa impazzire. Il “non è” si forgia come acciaio incorruttibile nell’essere cattolico per essere nazista. La mano scompare, resa niente dal forno crematorio che rende il linguaggio esistente per l’inesistenza della realtà materiale del corpo. E la parola, privata dal rapporto interumano e la sua storia, diventa creazione mostruosa di un non essere, non riuscendo neppure ad essere preumana o animale. E dissi che nel forno crematorio, che aveva l’idea di realizzare l’essere con la non esistenza del corpo dell’altro, c’era la creatività che non può mai esistere, ovvero l’oltre la creatività del dio che aveva creato la materia ovvero l’esistenza dell’universo. Creare il nulla che è esistito soltanto nella mente umana che, perdendo la vitalità, trasforma la nascita e l’essere umano diverso dall’animale in un senza corpo, per essere soltanto anaffettività e pulsione di annullamento.
La scoperta dell’esistenza dei ‹Quaderni neri› fu una tempesta che nell’anno trascorso divenne bufera e, con l’anno nuovo, uragano. Dopo i primi quaderni in cui si discusse sulla verità del nazismo di Heidegger con l’ipotesi di opportunismo, o stupidità per non aver capito la tragedia politica che stava accadendo, si lesse un antisemitismo delirante e feroce fin dal 1916, quando era fervente cattolico ed il fascismo ed il nazismo non esistevano. Torna la memoria di quando, sempre, mi chiedevo: gli ebrei sono uguali agli europei, perché la persecuzione che aveva l’idea della loro eliminazione? Sembra impossibile comprendere.

Ritorno / al prerazionale› è il titolo dell’articolo di Fagioli pubblicato la settimana precedente, sul n. 9 di “Left”, del 14 marzo 2015.

Entrambi gli articoli di Fagioli sono stati ripubblicati in ‹Left 2015›, L’Asino d’oro 2018.

Il sommario del volume di Martin Heidegger può essere consultato qui.

_____
¯¯¯¯¯

Nessun commento:

Posta un commento