venerdì 30 agosto 2019

Georges Ifrah e la pratica del “baratto silenzioso”

Nel settimo capitolo del suo volume ‹Storia universale dei numeri› (1981, ed. Mondadori 1984), Georges Ifrah menziona una pratica singolare, ma che deve aver avuto nel lontano passato una notevole diffusione, definendola “baratto silenzioso”; a p. 114 possiamo leggere:
Talvolta, trattandosi di gruppi con relazioni non amichevoli, gli scambi si facevano sotto forma di ‹baratto silenzioso›. Viaggiando per la Siberia, ad esempio, dove questo tipo di economia persistette fino a epoca recente, «il mercante straniero depositava le merci che voleva scambiare e le abbandonava; il giorno dopo, egli trovava al posto (o a lato) delle sue derrate, i prodotti del paese — soprattutto pellicce — proposti in cambio; se la cosa gli conveniva, li prelevava, altrimenti tornava il giorno dopo e trovava una quantità più consistente di prodotti a baratto, che egli prelevava o lasciava secondo la stima che ne faceva: la faccenda poteva durare parecchi giorni o andare a vuoto, se le parti non si accordavano» [*] (L. Hambis).

[*]. La nota rimanda al testo di L. Hambis, «La monnaie en Asie centrale et en Haute Asie», in ‹D.A.T.› (Dictionnaire Archéologique des Techniques), Ed. de l’Accueil, Paris 1963-64, tomo II, p. 711.

La pratica descritta ci sembra di qualche interesse perché non richiede né linguaggio parlato, né comunicazione gestuale, ma presuppone solamente una sorta di intesa tacita e a distanza. Rimane la curiosità di sapere come una tale usanza possa essere stata introdotta e mantenuta – a quanto pare – per millenni.

NOTA: essa implica inoltre l’esistenza di una sorta di senso “innato” dello “scambio equo” che smentisce tanto l’‹homo homini lupus› dei filosofi, quanto la ricerca del massimo guadagno dell’‹homo œconomicus›, tanto cara agli economisti.

Il sommario del volume di Georges Ifrah è consultabile qui.

_____
¯¯¯¯¯

Nessun commento:

Posta un commento