sabato 31 agosto 2019

Georges Ifrah e il “prezzo della fidanzata”

Nel settimo capitolo del suo volume ‹Storia universale dei numeri› (1981, ed. Mondadori 1984), Georges Ifrah evidenzia come la necessità di valutare i “beni” in modo “oggettivo”, cioè indipendente dalla comunità di appartenenza, non sia sorta soltanto per via dell’estendersi degli scambi commerciali, ma sia dovuta anche – e forse soprattutto – a cause di “natura giuridica”; a p. 114 possiamo leggere infatti:
Con l’intensificarsi dei contatti fra i diversi gruppi e la crescente importanza delle transazioni, lo scambio diretto — secondo cui le mercanzie sono spesso scambiate a capriccio dell’uno o dell’altro individuo o in virtù di un uso consacrato o magari dopo estenuanti contrattazioni — diventò scomodo. Si sentì presto la necessità di un sistema relativamente stabile di valutazione o equivalenza, fondato sulla definizione di campioni fissi, partendo dai quali fosse sempre possibile stimare valori differenti. Ciò valeva per operazioni economiche, ma anche — e forse soprattutto — per regolare problemi di natura giuridica, quali il ‹prezzo della fidanzata›, il ‹prezzo del sangue› (stime in beni per ferite gravi o per quelle seguite da morte), il ‹prezzo del furto›, ecc.
La prima unità di baratto introdotta nella Grecia pre-ellenica, e presso i romani del IV secolo a.C., pare sia stato il bue. Nell’‹Iliade› di Omero (VIII secolo a.C.), ‹una donna abile a mille lavori› era valutata 4 buoi (XXIII, 705); l’armatura in bronzo di Glauco, 9 buoi, e quella di Diomede, d’oro, 100 buoi (VI, 236). In una lista di ricompense, si succedono in ordine di valore decrescente una coppa di argento cesellato, un bue e mezzo talento aureo (XXIII, 749-751). Non dimentichiamo che la parola latina ‹pecunia›, che significa «fortuna, moneta, denaro», dalla quale derivano i nostri termini «peculio» e «pecuniario», proviene da ‹pecus›, cioè bestiame.

Ovviamente la dizione “prezzo della fidanzata” – ammesso che quest’ultimo termine sia appropriato – si riferisce a un ambito esplicitamente patriarcale (la “fidanzata” viene considerata alla stregua di un bene materiale). Pare poco verosimile che “problemi di natura giuridica” possano essere sorti soltanto con l’avvento del patriarcato; tuttavia ci si può chiedere se la necessità e l’opportunità di stabilire il valore “oggettivo” di un bene (la “fidanzata”), o di un danno (è il caso del “sangue” o del “furto”) si siano poste con particolare evidenza in tale contesto.

Del resto, anche l’adozione “iniziale”, quale campione o unità di valore, dei capi di bestiame (menzionata nel cpv. successivo) sembrerebbe rimandare a un contesto pastorale, e dunque implicitamente già patriarcale. Eppure ‹Homo sapiens› esiste da almeno 200 mila anni, mentre la “rivoluzione neolitica” (agricoltura e allevamento) ebbe luogo soltanto intorno al 10 mila a.e.v.; ci pare del tutto inverosimile che per i 200 mila anni precedenti non ci siano stati “scambi” tra gruppi diversi.

NOTA: oltretutto, il “prezzo della fidanzata” contrasta con l’antica usanza – tipica delle società matrilineari, se non vogliamo usare il termine “matriarcali” – che fosse l’uomo a “trasferirsi” presso la famiglia della donna, venendone in pratica “adottato”. Di questa antica usanza esisterebbero tracce sia nella mitologia greca, sia nei testi biblici; ad esempio, nell’Introduzione al suo volume ‹I miti greci› (1955, ed. Longanesi 1963-2011), a p. 11 Robert Graves scrive:
Le invasioni achee alla fine del XIII secolo avanti Cristo indebolirono notevolmente la tradizione matrilineare. Pare che il re riuscisse allora a regnare a vita e quando arrivarono i Dori, verso la fine del secondo millennio, la successione patriarcale divenne la regola. Il principe non abbandonava più la casa paterna quando sposava una principessa straniera, ma questa invece seguiva il marito, come fece Penelope con Odisseo. Anche la genealogia divenne patrilineare, sebbene un episodio citato dallo pseudo Erodoto nella ‹Vita di Omero› dimostri che, quando già la Apatoria o festa della Parentela Maschile aveva sostituito la festa della Parentela Femminile, i riti comprendevano ancora sacrifici alla dea Madre ai quali gli uomini non potevano assistere.

Pochi anni più tardi, nella Prefazione al volume ‹I miti ebraici› (1963), di Robert Graves e Raphael Patai (Longanesi 1980-1983), i due autori rilevano tracce di questa antichissima tradizione non solo nei miti greci, ma anche nei testi biblici; alle pagine 12-13 possiamo infatti leggere:
Altri accenni a un’antica civiltà matriarcale si incontrano nella ‹Genesi›: per esempio il diritto materno di dare il nome ai figli, ancora in uso tra gli Arabi, e i matrimoni matrilocali: «perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre per convivere con sua moglie» (‹Genesi› II 24). Questa usanza palestinese è provata da un paragrafo dei ‹Giudici› nel racconto del matrimonio di Sansone e Dalila; e spiega perché Abramo, il patriarca aramaico, che entrò in Palestina con le orde degli Hyksos, al principio del secondo millennio a.C., ordinò al suo servo Eliezer di andare a prendere una sposa per Isacco fra i suoi parenti paterni di Harran, piuttosto che sposasse una donna cananea e fosse adottato dalla tribù di lei […]. Abramo aveva già scacciato i figli nati dalle sue concubine, perché non dividessero l’eredità con Isacco […]. Il matrimonio matrilocale era una norma anche nei primitivi miti greci: un mitografo documenta che il primo a rompere quella tradizione fu Odisseo, che portò via Penelope da Sparta e la condusse a Itaca, e che ella ritornò poi a Sparta dopo il divorzio.
Dal che si evince che la storia di Ulisse (Odisseo) e Penelope ha diversi risvolti che di norma non vengono trattati nei programmi scolastici, ma che sarebbe nondimeno interessante approfondire.

Il sommario del volume di Robert Graves è consultabile qui.

Il sommario del volume di Robert Graves e Raphael Patai è consultabile qui.

Il sommario del volume di Georges Ifrah è consultabile qui.

_____
¯¯¯¯¯

Nessun commento:

Posta un commento