1.7. Il primo compito dello storico è di accertare la coscienza che gli operatori storici contemporanei ebbero di un fenomeno (di un istituto, di prodotto artistico, di un mito, di una liturgia, di una teoria scientifica o filosofica, di un’epoca, ecc.). Ma con ciò il suo compito è tutt’altro che esaurito perché la conoscenza storiografica non consiste nel ‹ripetere› il vissuto consapevole che accompagna un fenomeno culturale, ma nel situare questo vissuto in una rete di condizioni e di risultati che non appartengono ovviamente alla coscienza contemporanea e che tuttavia conferiscono a quel vissuto la sua realtà e verità, il suo «significato» e la sua «importanza». Senza dubbio il pericolo polarmente opposto a quello di una semplice «ripetizione» della coscienza contemporanea sta nell’attribuire a questa stessa coscienza ciò che in realtà appartiene alla sfera delle condizioni inconsapevoli o ai risultati percepibili solo in una prospettiva maturatasi successivamente: la storiografia idealistica si è macchiata spesso di tale arbitrio. Ma purché risulti nel discorso storiografico che cosa appartiene all’accertata coscienza dei contemporanei e che cosa alle condizioni inconsapevoli che l’analisi storiografica mette in luce e che cosa ancora ai risultati che matureranno più tardi e che lo storiografo identifica con la prospettiva più ampia di cui si giova, il processo alle intenzioni è di regola nella ricerca storiografica, anzi la coscienza limitata dei «contemporanei» emerge proprio per entro una ricostruzione dinamica che abbraccia condizioni e risultati inconsapevoli.
Buon lavoro storiografico è quello in cui, in primo luogo, il lettore è messo in condizione di sapere, rigo per rigo, a che cosa si riferisce il discorso: se alla coscienza degli operatori storici, o alle condizioni e motivazioni inconsapevoli a essi, o ai mediati risultati che fecero maturare un fenomeno oltre la coscienza dei suoi contemporanei.
Schematizzando, potremmo dire che secondo EdM un buon lavoro storiografico non si dovrebbe limitare all’accertamento e al resoconto dei fatti accaduti (le azioni umane), ma dovrebbe mirare, una volta accertati i fatti, ad individuare e a distinguere tra loro 3 ordini di nessi:
𝑎) quelli tra i fatti e le motivazioni coscienti e consapevoli dei loro protagonisti;
𝑏) quelli tra i fatti e le motivazioni inconsce o inconsapevoli dei loro protagonisti;
𝑐) quei nessi che non potevano essere all’epoca né consapevoli né inconsapevoli, ma la cui consapevolezza maturerà soltanto in seguito all’evoluzione storica.
Va tenuto presente che le valutazioni dei protagonisti (𝑎 e 𝑏) possono anche essere errate o inadeguate, e che in ogni caso esse sono legate al contesto culturale dell’epoca e più specificamente del loro ambiente. Sarebbe interessante verificare se e fino a che punto le opere di argomento storiografico che si leggono perseguono questi obiettivi, e il primo a subire questo tipo di scrutinio dovrebbe naturalmente essere lo stesso saggio di Ernesto de Martino (pur tenendo ovviamente conto del fatto che non poté terminarlo).
Il sommario del saggio di Ernesto de Martino è consultabile qui.
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