mercoledì 18 dicembre 2019

De Martino e il campanile di Marcellinara 2

L’episodio del pastore che non vedeva più il campanile di Marcellinara, già narrato sommariamente da Ernesto de Martino in una relazione tenuta a Perugia nel maggio del 1964, nell’ambito di un convegno dedicato a “Il mondo di domani”, relazione che s’intitolava ‹Il problema della fine del mondo› e il cui testo è riportato nella 1ª parte del capitolo ‹Ouverture› (alle pp. 69-76) del saggio ‹La fine del mondo› (ed. Einaudi 2019), viene descritto in maggior dettaglio nel paragrafo 1.9: ‹Il campanile di Marcellinara›, del 5° capitolo dello stesso saggio (alle pp. 364-365). Ecco come lo racconta l’etno-antropologo:


1.9. Il campanile di Marcellinara [16].
Ricordo un tramonto, percorrendo in auto qualche solitaria strada calabrese. Non eravamo sicuri della giustezza del nostro itinerario, e fu per noi di sollievo imbatterci in un vecchio pastore. Fermammo l’auto e gli chiedemmo le notizie che desideravamo, ma le sue indicazioni erano così confuse che lo pregammo di salire in auto e di accompagnarci sino al bivio giusto, a pochi chilometri di distanza: lo avremmo compensato per il disturbo. Accolse con qualche diffidenza la nostra preghiera, come temesse un’insidia oscura, una trama ordita ai suoi danni: forse lontani ricordi di episodi di brigantaggio dovevano affacciarsi nella sua immaginazione. Lungo il breve percorso la sua diffidenza aumentò, e si andò tramutando in vera e propria angoscia, perché ora, dal finestrino cui sempre guardava, aveva perduto la vista familiare del campanile di Marcellinara, punto di riferimento del suo minuscolo spazio esistenziale. Per quel campanile scomparso, il povero vecchio si sentiva completamente spaesato: e a tal punto si andò agitando mostrando i segni della disperazione e del terrore, che decidemmo di riportarlo indietro, al punto dove ci eravamo incontrati. Sulla via del ritorno stava con la testa sempre fuori del finestrino, spiando ansiosamente l’orizzonte per vedervi riapparire il domestico campanile: finché quando finalmente lo rivide, il suo volto si distese, il suo vecchio cuore si andò pacificando, come per la riconquista di una patria perduta. Giunti al punto dell’incontro, ci fece fretta di aprirgli lo sportello, e si precipitò fuori dell’auto prima che fosse completamente ferma, selvaggiamente scomparendo in una macchia, senza rispondere ai nostri saluti, quasi fuggisse da un incubo intollerabile, da una sinistra avventura che aveva minacciato di strapparlo dal suo ‹Lebensraum[17], dalla sua unica ‹Umwelt› possibile, precipitandolo nel caos [18]. Anche gli astronauti, da quel che se ne dice, possono patire di angoscia quando viaggiano nel silenzio e nella solitudine degli spazi cosmici, lontanissimi da quel «campanile di Marcellinara» che è il pianeta terra: e parlano e parlano senza interruzione con i terricoli non soltanto per informarli del loro viaggio, ma anche per aiutarsi a non perdere «la loro terra». Ciò significa che la presenza entra in rischio quando tocca i confini della sua patria esistenziale, quando non vede più «il campanile di Marcellinara», quando perde l’orizzonte culturalizzato oltre il quale non può andare e dentro il quale consuma i suoi «oltre» operativi: quando cioè si affaccia sul nulla.


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NOTE
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[16]. Paesino della provincia di Catanzaro. Questa forma di spaesamento rielabora, in termini culturali, la nozione heideggeriana di «essere fuori di sé» espressa dalla parola ‹Unheimlichkeit›. Cfr. capitolo 2, nota 10.

[17]. Nozione introdotta dal geografo tedesco Friedrich Ratzel, alla fine del XIX secolo, e trasformata in slogan per giustificare la politica espansionista della Germania nazista.

[18]. A questo proposito notiamo una sorprendente coincidenza col racconto di Piero Chiara «Fine a mezzanotte», pubblicato prima in rivista e poi, nel 1963, nella raccolta ‹Mi fo coraggio da me›, All’insegna del pesce d’oro, Milano, pp. 21-31. Stando al padre dello scrittore, che ha vissuto l’esperienza in un paesino siciliano, il 31 dicembre 1875, gli abitanti, convinti che la fine del mondo stesse per arrivare, si sono recati nei campi a fare baldoria. Ad eccezione però dei giovani, che sono rimasti a sorvegliare il campanile, senza distogliere lo sguardo, fino all’ultimo rintocco della mezzanotte.


La nota 10 del capitolo 2, cui rimanda la nota 16 riportata qui sopra, tratta nella sua parte conclusiva delle possibili traduzioni adottate per l’aggettivo tedesco ‹unheimlich›, dal quale deriva il sostantivo ‹Unheimlichkeit›:
[…] sin dal 1919 il termine ‹unheimlich›, nella sua accezione freudiana, è tradotto in italiano con l’espressione «il perturbante». Tuttavia, Jervis traduce l’aggettivo ‹unheimlich› col termine «spiacevole». De Martino, da parte sua, riconosce una dimensione di «intraducibile» che richiese di far ricorso a due termini: in questo caso, «non familiare», «spaesato»; altrove invece tradurrà con «alterità», «stranezza». Il che lo porterà a forgiare la sua nozione di «spaesamento». […]
Come l’inglese ‹home›, il tedesco ‹Heim› indica casa propria, come ambiente familiare, di vita quotidiana; a differenza di ‹Haus› (ingl. ‹house›) che indica invece la casa come generica costruzione (non necessariamente la propria), cioè come oggetto fisico; ‹unheimlich› sarebbe dunque strano, perturbante in quanto non familiare, non “casalingo” (non “appaesato” per EdM), e ‹Unheimlichkeit› sarebbe di conseguenza stranezza, “perturbanza”, in quanto non-familiarità, non-casalinghitudine (“spaesamento” per EdM, ma sarebbe più aderente al tedesco “spaesanza”, o “spaesantezza”, in quanto qualità della cosa e non stato d’animo del soggetto, ovvero come proprietà di ciò che può essere “spaesante”, o indurre “spaesamento” nel soggetto umano).

La nozione di ‹Umwelt› (ambiente), menzionata nel passo di de Martino, può invece esser fatta risalire a Jakob Johann von Uexküll (1864-1944), biologo, zoologo e filosofo estone, che fu un pioniere dell’etologia ed è considerato uno dei fondatori dell’ecologia (vedi wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Jakob_Johann_von_Uexküll); secondo la sua concezione, ciascuna specie vivrebbe in un proprio ambiente percettivo, determinato dai propri apparati di senso. Nel caso degli esseri umani, tuttavia, la biologia non sarebbe sufficiente a determinare univocamente la loro ‹Umwelt›, cosicché essa potrebbe essere diversa per ciascun individuo; per assicurare una certa uniformità si renderebbero allora necessari condizionamenti culturali e un potere centrale abbastanza forte (lo Stato) da imporre una propria ‹Umwelt› artificiale. Questo concetto di ‹Umwelt› (mondo-ambiente) verrà in seguito ripreso e rielaborato da Heidegger.

NOTA: non è chiaro a che cosa von Uexküll attribuisse questa peculiarità degli esseri umani; non dispongono forse essi degli stessi organi di senso di molte altre specie, o quanto meno della maggior parte dei mammiferi? Potrebbe essere interessante approfondire l’argomento.

Troviamo infine curioso che il fortuito – e nelle circostanze infruttuoso – incontro di EdM con un anonimo pastore locale abbia reso noto il paese di Marcellinara (Marcinàra in calabrese, vedi wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Marcellinara) nonché il suo campanile praticamente in tutto il mondo.


Una nostra precedente annotazione sulla relazione letta a Perugia da Ernesto de Martino nel 1964, ‹Il problema della fine del mondo›, è accessibile qui.

Il sommario del saggio di Ernesto de Martino è invece consultabile qui.

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