giovedì 11 aprile 2019

Assmann, nascita del monoteismo e alfabetizzazione


Nel corso del 1° incontro sulle origini del monoteismo, tenutosi il 24 marzo 2019 (a Roma, in via Ludovico di Savoia, 2b) a cura del Gruppo di studio sul monoteismo dell’Associazione Amore e Psiche, è stata mostrata una diapositiva (~2h48′) che citava un’affermazione del noto egittologo Jan Assmann:
La nascita del monoteismo biblico va situata nel più ampio contesto assiale, ma altrettanto rilevante è il contesto dello sviluppo della scrittura e dell’alfabetizzazione. Le religioni pagane hanno testi sacri, che però non sono mai stati raccolti in canoni chiusi e fondanti, come è invece avvenuto alla Bibbia. Sembra esistere un legame necessario fra “canone” e “rivelazione” di una conoscenza… di origine ultraterrena… Il primo insegnamento del monoteismo rivelato è che Dio è invisibile e che per accostarvisi bisogna ascoltare la sua parola scritta nel canone.

Questo passo ci è sembrato davvero stimolante, in quanto contiene una serie di spunti di riflessione sui quali si potrebbero avviare ulteriori ricerche; ne accenniamo alcuni:

• il nesso tra “nascita del monoteismo” e “alfabetizzazione”: con quest’ultimo termine Assmann non intende certamente la diffusione della scrittura tra la popolazione che non faceva parte dell’élite, ma la transizione dalle scritture “ideografiche” (ci si passi l’imprecisione tecnica) alle scritture “fonetiche”, cioè dalla scrittura originariamente basata sull’immagine a quella basata sul suono; sappiamo che questo passaggio avvenne storicamente con il passaggio per le lingue “semitiche” (il fenicio, che pare sia all’origine tanto dell’alfabeto greco quanto dell’aramaico); che i testi sacri delle religioni monoteistiche siano tutti redatti utilizzando scritture “fonetiche” non può essere un caso, e merita un tentativo di spiegazione.

• il nesso tra “aniconicità” (un dio senza immagine) e “sacralità della parola” (canone): se il dio non può mostrarsi, può rivelare la sua presenza soltanto attraverso la parola, che dunque diventa sacra e intoccabile (da qui l’esigenza di fissare un canone: la “vera” parola di dio); mentre però l’immagine è universale, la parola per poter essere espressa e compresa richiede un contesto linguistico ben determinato, è quindi legata a un popolo (inteso come base di parlanti una data lingua) e a una data epoca (perché le lingue tendono a modificarsi nel tempo); occorre dunque spiegare come un essere unico, senza luogo (perché incorporeo) e senza tempo (perché eterno) possa esprimersi utilizzando una lingua ben determinata; la lingua usata da dio non può essere una lingua come tutte le altre, e va anch’essa preservata inalterata in eterno.

• “bisogna ascoltare la sua parola scritta nel canone”: se Assmann non intende “ascoltare” in senso metaforico ma in senso proprio, l’affermazione implica che la parola sacra, scritta, dev’essere letta, cioè “interpretata” (così come in effetti avviene nelle funzioni sacre delle 3 religioni) da un esperto che sappia renderne il senso; come un tempo gli scribi costituivano una casta ristretta, essendo gli unici in grado di mettere per iscritto, custodire e interpretare i segni, così il clero – una classe sacerdotale più o meno gerarchizzata – si propone come depositario della “vera” interpretazione del testo sacro.

• occorre comunque tener presente che la “sacralità” del testo divino vale per la massa dei credenti ma evidentemente non altrettanto per la stessa classe sacerdotale che si è assunta l’onere – e il privilegio – di custodirlo e interpretarlo, come è ampiamente comprovato dagli innumerevoli ritocchi, rimaneggiamenti e risistemazioni avvenuti nel corso dei secoli per tutti i testi sacri, modifiche ampiamente documentate dagli studi linguistici ed epigrafici.

La registrazione video dell’incontro è disponibile qui.

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