Se, quindi, azzardiamo l’ipotesi che animismo e politeismo, pur con caratteristiche diverse, possano attenere alla dinamica della ‹fantasia di sparizione›, cioè alla pulsione di annullamento neonatale fusa alla vitalità (tale comunque da costituire una primordiale alienazione religiosa), e che il monoteismo invece sia attinente alla ‹pulsione di annullamento› priva di vitalità, la ricerca che dobbiamo impostare è delineata: ciò che va individuato sono l’ambiente culturale e il momento storico in cui la ‹pulsione di annullamento› si è imposta come superiore essenza della verità (preter)umana e, contemporaneamente, come apice e faro della civiltà. Facendo sparire dalla storia della cultura — fino alla teorizzazione di Fagioli — la possibilità di risolvere l’alienazione religiosa della nascita in modo evolutivo grazie ad un rapporto interumano pienamente affettivo.
Non si può certo sostenere che FdP non espliciti chiaramente la sua tesi di fondo, linea-guida dell’intero volume; per quanto, a dire il vero, ci sembri difficile credere che le cose siano così semplici e schematiche, tuttavia le argomentazioni esposte dall’autore sembrano degne di attenzione e di considerazione.
Quel che FdP non esplicita in questo passo è quale posto occupino nello schema che si propone di dimostrare la cultura e la religione “ebraiche”; ma dopo aver letto la sua Premessa, nonché svariati suoi scritti precedenti, possiamo chiaramente sospettare che il suo negare – con Carlo Enzo – che nei testi ebraici delle origini si possano rinvenire elementi di effettivo monoteismo miri a “scagionare” l’ebraismo dall’accusa di essere all’origine della “virata” delle credenze religiose su quel versante “patologico” costituito dalla ‹pulsione di annullamento›; “virata” che, stanti così le cose, non può che essere addossata al cristianesimo, e alla sua recezione della più deleteria filosofia greca.
Effetto “collaterale” di questa impostazione ermeneutica sarà l’accomunare giudaismo e Islàm in un unico filone (di tradizione o cultura detta “semitica” su basi linguistiche), entrambe in perenne, irriducibile – e sana – opposizione a quella “antropologia negativa”, fondata sull’idea di un “peccato originale”, da cui prese le mosse fin dai suoi esordi l’ideologia cristiana.
Il sommario del saggio di Della Pergola è consultabile qui.
Caro Solinas, ti ringrazio per l'attenzione dedicata al mio saggio. In merito alla mia - e non solo mia – idea di un monoteismo di origini non bibliche, rimando non solo a Carlo Enzo ("Theos è l' assoluto. Ma l' Elohim non è l' assoluto», Rileggere la Bibbia, Repubblica 28.12.2012), ma anche alle difficoltà di un Jan Assmann nel definire il monoteismo biblico, fino a ipotizzare la nota "distinzione mosaica" (in tempi recenti poi profondamente rivisitata) segno palese che individuare un monoteismo nella Bibbia non è poi cosa così facile, come le teologie (critiana, ebraica e islamica, loro sì, monoteistiche) e l'opinione comune da esse manipolata, vorrebbero. Mi pare evidente che a un dio "assoluto" attenga l'idea di creatio ex-nihilo che è dimostrabilmente tarda e di origine cristiana. Fra il (presunto) monoteismo biblico e quello successivo dei tre monoteismi contemporanei c'è dunque questa piccola, ma essenziale differenza: l'idea di un nulla originario da cui tutto sarebbe derivato per totalmente autonoma volontà creatrice del dio. Non si tratta quindi di «“scagionare” l’ebraismo dall’accusa di essere all’origine della “virata” delle credenze religiose su quel versante “patologico” costituito dalla ‹pulsione di annullamento›», quanto di prendere atto delle differenze sostanziali, fin qui poco approfondite a mio parere, fra tradizioni culturali che presentano segni di continuità, ma anche alcuni, fondamentali e palesi segni di discontinuità. In sintesi: anche ammettendo che nella Bibbia esista (un) monoteismo, è a mio parere evidente che esso sia altra cosa da quello che noi moderni consideriamo monoteismo. Quanto poi l'idea di un nulla originario attenga alla patologica "pulsione di annullamento" è cosa che ho ipotizzato e cercato di dimostrare nel mio saggio. Sarebbe interessante dibattere su questo piuttosto che insinuare sospetti sulle mie intenzionalità di "scagionare" questo o quello. Un caro saluto, Fabio Della Pergola.
RispondiEliminaPiù che affermare il mio punto di vista sull’argomento, questo post ha principalmente l’obiettivo di stimolare la lettura del testo e la riflessione sui punti evidenziati. Ringrazio pertanto Fabio Della Pergola della considerazione, ma se ho usato “scagionare” (tra virgolette) è stato per sintesi, forse con un pizzico di provocazione, ma senza alcun intento malevolo o polemico. Sulla maggior parte delle argomentazioni esposte nel suo libro siamo del resto sostanzialmente d’accordo.
RispondiEliminaMi fa piacere saperlo.
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