[…] il simbolo “∞” al quale si ricorre per denominare i cardinali “∞-estendibili” venne introdotto dall’inglese John Wallis, autore della ‹Arithmetica infinitorum› (1656), modificando il simbolo “ⅭⅠↃ”, che veniva talvolta usato nella numerazione romana, in luogo di “Ⅿ”, per indicare 1000, una quantità relativamente grande per quei tempi. Usato inizialmente per rappresentare l’infinito “potenziale” dell’aritmetica, si diffuse rapidamente e divenne di uso comune per indicare in genere qualsiasi forma di infinito.
Nel corposo manuale di G. Ifrah, ‹Storia universale dei numeri› (1981), nel 9° capitolo, alle pp. 165-166, scopriamo l’antefatto di questa storia; i segni usati da etruschi e romani per indicare i numeri derivavano dalla comune “pratica dell’intaglio”, in uso fin dalla preistoria tra diverse popolazioni sulle rive del Mediterraneo: una tacca singola indicava un’unità, una tacca obliqua o due tacche unite tra loro indicavano 5 unità, due tacche incrociate 10.
Per indicare numeri 10 volte più grandi, poteva essere aggiunta un’ulteriore tacca verticale:
Con l’uso, fra etruschi e romani finirono per selezionarsi i seguenti simboli:
ai quali si aggiunsero, per rappresentare il 1000, i seguenti:
I romani, in particolare, avevano la tendenza ad assimilare, modificandoli, questi simboli grafici alle lettere del loro alfabeto. Ad esempio, per il 50:
Il simbolo che indicava 1000 venne dapprima semplificato in forma di Φ – la cui metà, D, andò a rappresentare 500 – e da esso si originò una serie di varianti che Ifrah organizza nello schema seguente:
Nella seconda riga di questo schema è ben riconoscibile il simbolo ∞ che Wallis adottò per rappresentare il suo infinito “potenziale”; nella riga sottostante, invece, il simbolo ⅭⅠↃ, in uso nel tardo Medioevo, dal quale egli sarebbe partito, modificandolo.
L’articolo di E.B. Drummond, ‹Quella linea impercettibile sospesa tra il nulla e l’infinito›, è consultabile qui.
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