Nei tempi del Talmud, le considerazioni sulla struttura dell’Universo erano chiamate ‹ma‘asse merkabhah› «ciò che riguarda il carro», perché pertinenti al carro divino descritto da Ezechiele. I Farisei consideravano pericolosi gli studi di queste cose e parecchie leggende parlano di studiosi che omisero necessarie precauzioni: Ben Azzay morì all’improvviso, Ben Zoma impazzì, Elisha ben Abuya divenne eretico; soltanto il rabbino Akiba sopravvisse, grazie alla sua umiltà e circospezione […].
“Nei tempi del Talmud” significa in sostanza dopo la distruzione del II Tempio, ma non vi sono nel testo indicazioni cronologiche più precise. Una ricerca su internet fornisce alcune informazioni aggiuntive che ricaviamo dalla pagina di wikipedia dedicata al rabbino Akiva (https://it.wikipedia.org/wiki/Rabbi_Akiva):
Akiva ben Joseph, semplicemente noto come Rabbi Akiva (in ebraico: רבי עקיבא; Lod, 40 – Tiberiade, 137), è stato un rabbino ed erudito ebreo tanna, martirizzato e ucciso dai romani.
Grande autorità della tradizione ebraica ed uno dei principali contributori all’‹Halakha›, alla ‹Mishnah› e ai ‹midrashim›. Viene citato nel Talmud come ‹Rosh la-Chakhamim› (“Capo di tutti i Saggi”), ed è considerato come uno dei primi fondatori dell’ebraismo rabbinico. È il settimo Saggio più citato della ‹Mishnah›.
Tralasciamo i dettagli del “martirio” che avrebbe posto fine alla sua esistenza terrena (all’età di 97 anni?), ma wikipedia non ci chiarisce di che parlino Graves e Patai; ci sovviene però di un passo letto diversi anni fa. Amir D. Aczel, nel suo volume ‹Il mistero dell’alef› (Il Saggiatore 2002), capitolo 3, ‹Cabala› (pp. 29-30), scrive:
A seguito di questo evento traumatico [la distruzione del II Tempio], la classe dirigente ebraica si disperse in Giudea, e un certo numero di saggi si stabilì a Jabneh, lontano da Gerusalemme, città nella quale era stato proibito agli ebrei di risiedere. Questi primi rabbini, che sostituirono i sacerdoti del Tempio, fondarono un’accademia. Tra loro c’era un uomo che sarebbe diventato una grande guida spirituale del popolo ebraico, il rabbino Akiva ben Joseph (50-135 d.C.).
Il rabbino Akiva scrisse una raccolta di saggi intitolata ‹Ma‘asêh merkavah› (L’opera del carro), che indicava ai credenti una nuova strada verso la spiritualità. Il suo metodo consisteva nel presentare una serie d’immagini di “palazzi” celesti, al fine di promuovere la meditazione e, attraverso questa, l’accostamento al divino. Sembra però che Akiva si fosse imbattuto in un metodo che imponeva sforzi troppo intensi alla mente umana. Le meditazioni prescritte dal rabbino richiedevano, infatti, esperienze extracorporee e stati mentali alterati ed estatici precedentemente ignoti alla cultura occidentale. Ma se le visioni dei palazzi celesti lungo la via che porta a Dio erano vivide e intense, Akiva esortava i suoi allievi a non abbandonarsi alle allucinazioni e a non perdere il contatto con la realtà. «Quando entri nelle pietre pure di marmo [uno stadio della meditazione]» scriveva «non dire “Acqua! Acqua!” poiché il Salmo ci dice: “Colui che mente non rimarrà dinnanzi agli occhi miei”».
Akiva utilizzava passi biblici e cantilene da lui stesso composte come mezzi per raggiungere uno stato mentale di tipo meditativo. Uno di questi espedienti consisteva nella visualizzazione di una luce infinitamente luminosa, la quale simboleggiava la ‹chaluk›, la veste che copriva Dio quando apparve a Mosè sul monte Sinai. Con le loro meditazioni, Akiva e i suoi allievi si proponevano di provare un’esperienza di intensità pari a quella di Mosè quando poté vedere la figura di Dio.
Secondo la leggenda, Akiva e altri tre rabbini entrarono insieme nei palazzi della meditazione. La loro esperienza fu così intensa che il primo, Ben Azai, diede uno sguardo alla luce infinita e morì, perché la sua anima desiderò raggiungere la fonte della luce tanto ardentemente da abbandonare il corpo e svanire. Il secondo, il rabbino Elisha ben Abuya, rivolse lo sguardo alla luce e vide due esseri divini anziché uno. E così divenne un apostata. Il terzo, Ben Zoma, vide la luce infinita della veste di Dio e perse la ragione, perché non riuscì a riconciliare la vita di ogni giorno con tale visione. Soltanto il rabbino Akiva riuscì a sopravvivere a questa esperienza.
Nel séguito, lo sviluppo e l’elaborazione di questi metodi e di queste conoscenze avrebbe dato origine, nella Spagna dell’XI sec., alla Cabala. Ad ogni modo, Ben Azzay (Ben Azai), Ben Zoma e Elisha ben Abuya erano tutti in qualche modo seguaci di Akiba (Akiva ben Joseph), se non direttamente, almeno per il tramite dei suoi scritti e del suo metodo.
NOTA: all’inizio del cpv. citato (di Graves e Patai), «[…] le considerazioni sulla struttura dell’Universo erano chiamate ‹ma‘asse merkabhah› “ciò che riguarda il carro” […]» ma, secondo Aczel, ‹Ma‘asêh merkavah› (“L’opera del carro”) è il titolo di una raccolta di saggi in cui lo stesso Akiba (Akiva ben Joseph) esponeva il suo metodo.
Il sommario del volume di Robert Graves e Raphael Patai è consultabile qui.
Il sommario del volume di Amir D. Aczel è consultabile qui.
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