Un aspetto interessante da evidenziare sono le radici, molto antiche, dei brani jahwisti; radici rintracciate dagli archeologi in racconti della mitologia sumerica[218] , che sono stati evidentemente trasmessi, di popolo in popolo, per mille anni o più. Con un curioso gioco di parole in lingua sumerica — derivante dalla parola “‹ti›” che significava sia ‘costola’ che ‘vita’ — i sumeri raccontarono come la donna, curando la costola ferita del trasgressore punito dalla grande dea madre, aveva la capacità di ridargli la vita (o la vitalità?) perduta. Segno forte di un femminile non ancora negato, svilito e tantomeno demonizzato. Manipolazioni non rintracciabili nei secoli intercorsi fra la letteratura sumerica e quella ebraica hanno fatto sì che nel racconto biblico i termini maschile/femminile fossero invece invertiti. Qui è l’uomo che dà vita alla donna attraverso la costola; strana procedura creativa che ha dato luogo ad un plurimillenario enigma sul quale si sono scervellate generazioni di esegeti: perché Dio avrebbe creato la donna proprio dalla costola dell’uomo? Nessuno però era più in grado di dare una risposta, dopo l’estinzione del sumero. Secoli dopo, come è noto, si potrà avvalere di questa versione biblica l’arrogante misoginia di Paolo di Tarso[219] .
Riportiamo anche le 2 note, che ci sembrano importanti per comprendere l’argomento:
[218] . Il riferimento è al mito di Enki e Ninhursag in cui è evidente la prima traccia del mito di Adamo ed Eva: «da un poema che tratta il mito di Enki e Ninhursag (…) sappiamo che in un remoto paradiso (…) il ‘paese dei vivi’ non cioè degli uomini mortali, le dee nascono senza dolore; ma Enki mangia le otto piante fatte spuntare da Ninhursag, la grande dea madre che lo maledice, lo vota alla morte e scompare. Lì una parte del corpo di Enki, ferito, è la costola e la dea creata per guarire la costola è Ninti (la signora della costola e la signora che fa vivere perché ‘‹ti›’ significa in sumero “costola” e “vita”): di questo gioco di parole nulla rimane, è ovvio, nel racconto biblico…», G. Semerano, ‹Le origini della cultura europea› cit., p. 151; cfr. anche J. Bottéro, S. Kramer, ‹Uomini e dèi della Mesopotamia›, Einaudi, Torino 1992. La presenza nella mitologia sumerica, oltre al noto episodio del diluvio, di due diversi episodi di liti fra fratelli ha fatto affermare che la fonte Jahwista «si appropria senza alcuna difficoltà di materiali originariamente non israelitici, quali la storia di Caino ed Abele», J.A. Soggin, ‹Introduzione all’Antico Testamento›, Paideia, Brescia 1987⁴, p. 147.
[219] . «Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva», ‹1Timoteo› 2,12 ss. […]
D’altra parte, nel volume ‹La lingua dei Sumeri›, di Franco D’Agostino ed altri (Hoepli 2018), nel § 2.2, a p. 27, troviamo il seguente passo, in cui come esempio del meccanismo detto “associazione fonetica” viene menzionato proprio il caso di ‹ti›:
[…] Associazione fonetica, cioè utilizzo di un determinato segno cuneiforme per esprimere un oggetto o una attività che aveva in sumerico una pronuncia identica o simile. Per esempio, il termine TI (𒋾), che disegna e indica una “freccia”, è utilizzato anche per “vita”, termine omofono in sumerico; lo stesso vale per DUH (𒂃), “crusca”, il cui segno rappresenta due spighe di questo tipo di cereale, omofono del verbo “aprire, chiarire”.
In questo passo però non si parla di “costola”, bensì di equivalenza, sia grafica sia fonetica (dove la 2ª è occasione e causa della 1ª), tra “vita” e “freccia”. Il caso ci sembra interessante e meriterebbe un ulteriore approfondimento.
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