Le comunità sono internamente percorse e motivate da una religiosità diffusa che ha lasciato ampie testimonianze iconiche e oggettuali. Questa religiosità ha due aspetti tra di loro complementari: un aspetto funerario e collegato (tramite la venerazione degli antenati) alla struttura gentilizia «patriarcale»; ed un aspetto attinente al problema della fertilità (umana, animale, vegetale) che le tecniche di produzione di cibo hanno portato in primo piano. I due aspetti sono connessi, poiché le meditazioni neolitiche sul parallelismo tra riproduzione animale (basata sulla penetrazione sessuale) e riproduzione vegetale (basata sul seppellimento della semente) conferiscono anche al seppellimento dei defunti una qualche affinità con l’interramento e la rinascita moltiplicata dei semi. Ho parlato di religiosità piuttosto che di religione, perché il simbolismo (largamente animalistico e sessuale) e le stesse famose raffigurazioni femminili (di «Veneri» steatopigie) riflettono piuttosto concezioni sui problemi naturali della fertilità e della mortalità, che non personalità divine ben individuate e diversificate (come avverrà invece, e per motivi comprensibili, nelle fasi successive).
Il capitolo è l’ultimo della parte introduttiva del volume, e dunque ha solo la funzione di descrivere la situazione di partenza degli sviluppi successivi – a iniziare della “rivoluzione urbana” vera e propria – che costituiscono il vero oggetto dell’opera, tuttavia questo cpv. in particolare ci sembra discutibile nella sua impostazione; ne esaminiamo alcune affermazioni:
«Le comunità sono internamente percorse e motivate da una religiosità diffusa […]»: non si comprende da dove venga fuori questa “religiosità diffusa”, se era presente o meno anche nelle fasi precedenti (paleolitico, mesolitico) e che forme eventualmente assumesse (ad esempio risulta che anche il Neandertal seppellisse i defunti, per quanto non fosse la regola).
«Questa religiosità ha due aspetti […] complementari: un aspetto funerario e collegato (tramite la venerazione degli antenati) alla struttura […] “patriarcale” […]»: non è chiaro perché il culto degli antenati debba necessariamente essere “patriarcale”, non venivano sepolte anche le femmine (cioè le “ave”)?
«[…] ed un aspetto attinente al problema della fertilità (umana, animale, vegetale) […]»: questa sembrerebbe una componente più antica; la fertilità poteva ben essere una preoccupazione anche per i cacciatori-raccoglitori, tanto più che non avevano alcun controllo diretto su piante e/o animali, e forse non erano neppure consapevoli dei meccanismi della procreazione umana.
«[…] le meditazioni neolitiche sul parallelismo tra riproduzione animale […] e riproduzione vegetale […] conferiscono anche al seppellimento dei defunti una qualche affinità con l’interramento e la rinascita moltiplicata dei semi»: a parte l’uso dei termini “meditazioni” e “parallelismo”, presumibilmente estranei alla realtà dei neolitici, le considerazioni di Liverani sembrano più ispirate a sviluppi di pensiero molto successivi – da Aristotele a Freud – che non alla realtà sociale e culturale del paleolitico; innanzitutto una buona metà della popolazione era costituita da donne che difficilmente avrebbero accettato di essere equiparate alla “terra” in cui piantare il “seme”; in secondo luogo, con quali mezzi prendevano forma queste “meditazioni”? esisteva già un linguaggio articolato, un pensiero verbale, oppure si trattava di immagini, magari oniriche? ma le immagini oniriche come possono essere condivise, se non si dispone di un linguaggio articolato di sufficiente complessità? si torna dunque al problema delle origini del linguaggio.
«Ho parlato di religiosità piuttosto che di religione […]»: in realtà sul passaggio dalla “religiosità” – una certa alienazione religiosa sembrerebbe essere una fase fisiologica nell’essere umano, dovuta alla dinamica della nascita – alla “religione” come forma di credenza strutturata e condivisa esistono opinioni differenti e non risulta si sia ancora pervenuti a un accordo generale; alcuni fissano la linea di discrimine sul concetto di trascendenza, caratteristico del monoteismo; altri sull’esistenza di una casta sacerdotale e sull’osservanza di riti e ricorrenze, già presenti nel politeismo; altri ancora sull’affidarsi a entità anche immanenti ma invisibili, non percepibili, o quantomeno nascoste (in questo caso vi rientrerebbero gli animisti, ma anche i moderni scienziati); Liverani, alla fine del cpv., pone invece l’accento sull’esistenza di “personalità divine ben individuate e diversificate”, il che sembra un po’ riduttivo e si applica solo alla successiva fase politeistica.
«[…] il simbolismo (largamente animalistico e sessuale) […]»: ma non erano “animalistiche” anche le pitture rupestri del paleolitico? Evidentemente per gli esseri umani gli animali hanno rappresentato, fin dalle origini del pensiero che gli antropologi definiscono “simbolico”, qualcosa che andava ben al di là del loro semplice aspetto naturalistico.
«[…] riflettono piuttosto concezioni sui problemi naturali della fertilità e della mortalità […]»: “fertilità” e “mortalità” vuol dire, banalmente, nascita e morte, origine e conclusione, inizio e fine, comparsa e sparizione, l’eterno problema dell’essere umano di comprendere la propria limitata esistenza, e non solo la propria, ma anche – e forse soprattutto – quella dei suoi compagni di viaggio (ricordiamo Gilgameš e il suo sconvolgimento per la morte dell’amico Enkidu); necessità di rapportarsi al nuovo, quindi, ma anche quella di separarsi da ciò che non è più; notiamo però che ad essere sparito nel frattempo è “il simbolismo (largamente animalistico e sessuale)”, per l’equiparazione sessualità = procreazione, cui anche il buon Liverani non sfugge.
Il sommario del volume di Liverani, ‹Antico Oriente - Storia società economia›, è consultabile qui.
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