giovedì 23 maggio 2019

Della Pergola sul peccato originale, l’infinito e il battesimo

Nel saggio di Fabio Della Pergola, intitolato ‹Dall’impuro al peccaminoso›, edito da Licosia Edizioni (dicembre 2018), nel 1° capitolo, subito dopo una citazione di Gregorio di Nissa (IV sec.), a p. 26 si legge:
La natura umana, resa vuota dalla colpa [del peccato originale], doveva essere nuovamente “riempita” di senso, doveva essere “riempita” di verità. Che non è verità umana, ma verità divina, verità dello Spirito assoluto. Quello spirito assoluto che è immaginato “scendere” quindi, a farsi uomo, per riscattare la materia dalla sua perdizione. E la natura umana, decaduta e morta, acquisisce nuovamente — ci viene detto — una sua realtà effettiva solo nella misura in cui l’infinito, preesistente all’uomo, “entra” nella finitudine della carne e conferisce alla vita umana quel ‹senso› che solo lo Spirito le può dare.

Nei primi secoli dell’era cristiana, però, l’infinito non aveva diritto di cittadinanza né nella cultura greca – Aristotele aveva decretato che poteva essere considerato solo nella sua forma “potenziale”, mai in quella “attuale”, cioè “in atto” – né in quella ebraica, che verosimilmente neppure si era mai posta il problema (non risulta che il termine “infinito” compaia nelle Scritture, ebraiche o cristiane che siano); donde proviene allora questo “infinito”, e chi è che ne scrive? Gregorio vescovo di Nissa (335~395), oppure Agostino vescovo di Ippona (354-430)?

Come che sia, Della Pergola prosegue:
Unico rimedio, dice la teologia, è il lavacro del battesimo che costituisce anche la carta d’ingresso nella comunità dei cristiani: una volta battezzati, si è ‹battezzati in Cristo›.

Lo stesso sacramento del battesimo evidenzia però un vero e proprio “tallone d’Achille” della teologia; a parte i casi (rari, almeno nel mondo cattolico) in cui si viene battezzati da adulti, è infatti un sacramento che si riceve a un’età alla quale non si è minimamente consapevoli del suo significato; un rimedio che si riceve senza volerlo per un peccato che non si è commesso?

Ma la contraddizione più grave è che non vale in tutti i casi, come è dimostrato dal problema storico dei ‹conversos› spagnoli (detti anche ‹marrani›), ebrei che furono costretti (o indotti) a battezzarsi in massa nel tardo Medioevo, ma che ciononostante non vennero mai ritenuti “veri” cristiani, e anzi considerati con maggior sospetto che se fossero rimasti ebrei, in quanto potenziali “criptogiudei”; vedi ad esempio wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Marrano).

Molti studiosi considerano il problema dei ‹conversos› e i conseguenti statuti sulla ‹limpieza de sangre›, promulgati in Spagna agli inizi del XVI secolo, come un passo iniziale nella transizione dall’antigiudaismo “teologico” medievale a quello “biologico” del XIX secolo, che tante vittime avrebbe provocato nel secolo successivo.

Ancora un’osservazione sulla frase «[…] una volta battezzati, si è ‹battezzati in Cristo›»: passi pure l’assurdità del rito simbolico che, pur non essendo che un gesto materiale manifestamente irrilevante sarebbe tuttavia in grado di mutare lo stato “ontologico” dell’essere umano che vi si sottopone (e in genere, come abbiamo già detto, vi è sottoposto da altri)… ma che cosa c’entra il battesimo con l’infinito?

Oltretutto, se non ricordiamo male, il rito del battesimo dovrebbe essere precedente al cristianesimo, se è vero che Gesù stesso fu battezzato da Giovanni Battista; dunque deve essere comparso in ambito giudaico, forse essenico.

Il sommario del saggio di F. Della Pergola è consultabile qui.

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