Più in concreto, la dipendenza del regno dal re assume due forme ben distinte, e la popolazione è divisa in due grandi categorie. Da un lato vi sono gli «uomini del re», che sono privi in linea di principio di mezzi di produzione propri, lavorano per il re e da lui ricevono come retribuzione i mezzi di sostentamento. Dall’altro lato vi è la popolazione «libera» (i «figli» del tal paese) che detiene mezzi di produzione propri e fornisce al re una quota del proprio reddito sotto forma di tassa. Gli «uomini del re» prevalgono nella capitale e gravitano sul palazzo reale, la popolazione libera prevale nei villaggi (compreso quel «villaggio residuale» che è la capitale, una volta che se ne detragga l’ambito palatino).
Le due categorie sono distinte per caratteri giuridici, politici, funzionali; ma non sono due classi economicamente compatte. La popolazione libera si colloca ad un livello medio, di famiglie che possiedono quel po’ di terra e di bestiame che consente loro di vivere e riprodursi; ma possono anche imboccare (sotto la pressione di annate sfavorevoli) la via senza ritorno del prestito a interesse e a pegno personale che porta alla servitù per debiti. Invece all’interno degli «uomini del re» esistono disparità socio-economiche molto forti, secondo una scala che va dall’aristocrazia militare dei carristi (‹maryannu›), dal sacerdozio, dagli scribi e amministratori, attraverso gruppi di artigiani, di mercanti, di guardie, fino ai veri e propri servi addetti al palazzo o agli schiavi agricoli decentrati nelle fattorie palatine a lavorare una terra che non è loro.
Tutti costoro sono giuridicamente servi del re, ma i modi e la misura della retribuzione sono diversi e determinano situazioni di fatto assai diverse. Carristi, scribi, mercanti, possono accumulare sostanziose ricchezze soprattutto sotto forma di terre concesse loro dal re. È vero che si tratta di terre date in concessione e non in proprietà, dunque legate alla fornitura del servizio. Però accade normalmente che il servizio sia trasmesso per linea ereditaria e le terre pure: ed accade che chi ha risorse economiche sufficienti si faccia esentare dal servizio dietro pagamento di una somma. A questo punto, nulla (se non la memoria dell’origine e del processo) distingue una fattoria agricola data in concessione da una di proprietà familiare ereditaria.
Non è chiaro però dove vadano a finire quei “liberi” costretti a “imboccare … la via senza ritorno … che porta alla servitù per debiti”: finiscono nell’altra “classe”, quella dei “servi del re”, oppure esisteva un’ulteriore fascia, quella dei “servi” ‹tout court› o, in altre parole, degli schiavi, in qualche modo equiparabili ai prigionieri di guerra?
Queste 2 “categorie” riguardavano l’intera popolazione, oppure esistevano anche genti “non integrate” nel sistema, che in qualche modo rimanevano “esterne”, ad esempio perché nomadi, oppure al di fuori della giurisdizione regale?
Tra i “servi del re” sono elencati anche i carristi (‹maryannu›), definiti “aristocrazia militare”, e poi i sacerdoti, gli scribi e gli amministratori; dobbiamo intendere che – a parte forse la famiglia reale – l’intera élite era compresa nella categoria dei “servi del re”?
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